Sarà la Corte costituzionale a pronunciarsi sul payback, la norma introdotta dal governo Renzi e applicata da Draghi che obbliga i fornitori di dispositivi medici a restituire il 50% di quanto incassato dalle aziende sanitarie che hanno sforato i tetti di spesa. Il Tar del Lazio con più ordinanze di identico contenuto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 23, 41 e 117 della Costituzione. Secondo l’organo di giustizia amministrativa le scelte legislative potrebbero risultare “irragionevoli sotto molteplici profili”.

Una delle ordinanze afferma che la norma del 2022 “volta a definire il tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, appare violativa dei profili dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività, atteso che va ad incidere su rapporti contrattuali già chiusi, le cui condizioni contrattuali si erano cristallizzate nei contratti già da tempo conclusi tra le parti”. Inoltre “la norma in esame appare altresì in contrasto con i parametri costituzionali di cui all’articolo 23 Cost” in base al quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Soddisfatte le aziende che – dopo aver fatto ottimi affari con il Servizio sanitario nazionale – hanno sempre bollato il payback come un balzello ingiusto. Secondo un’indagine del Centro studi di Confindustria dispositivi medici l’incertezza generata dalla norma ha causato una situazione di stallo: “Il 61% delle aziende ha bloccato le assunzioni, mentre il 31% ha ricorso a licenziamenti. Sono inoltre 4 aziende su 10 ad aver ridotto gli investimenti in Ricerca e Sviluppo, mentre il 27% ha avviato procedure di cassa integrazione”. Più della metà delle aziende (61%) si è astenuta dalla partecipazione alle gare pubbliche, limitando al mercato privato le soluzioni più avanzate (54%).

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