Dopo 32 anni non dobbiamo parlare dell’assassinio di Libero Grassi, ma della sua straordinaria obiezione di coscienza. Per l’assassinio infatti è facile oggi come ieri trovare parole di condanna e di cordoglio, per l’obiezione di coscienza invece c’è ancora oggi un gigantesco imbarazzo, simile a quello degli industriali siciliani che allora si girarono dall’altra parte, contribuendo in maniera decisiva all’isolamento di Libero Grassi.

Quindi lasciamo perdere per una volta i mafiosi palermitani di Resuttana che accecati dall’odio verso una persona impavida e libera decisero di ammazzarla nonostante fosse il 29 agosto 1991, cioè nonostante mancasse pochissimo alla sentenza di Cassazione sul maxi processo (30 gennaio 1992) e nonostante il polverone già sollevato per l’assassinio del giudice Scopelliti il 9 agosto. Concentriamoci invece sulla obiezione di Libero Grassi.

Fu lui stesso a descriverla precisamente, rispondendo alle domande di Michele Santoro durante una indimenticabile puntata di Samarcanda: Libero Grassi non paga mai il pizzo, nemmeno una volta, nemmeno la prima, perché da imprenditore e da cittadino non ha alcuna intenzione di “dividere” le sue decisioni con i mafiosi. Libero Grassi trattiene a stento la rabbia, per non venire meno alla sua compostezza, nel commentare le parole di chi aveva messo nero su bianco in una sentenza che avere paura e quindi pagare non poteva essere considerato reato, aggiungendo che se tutti coloro che stavano pagando il pizzo avessero denunciato si sarebbe fermata l’economia siciliana.

Le parole di Grassi, forse un po’ strozzate dall’emozione, si sentono appena nella registrazione della puntata, ma è impossibile equivocarle: “E no! Semmai si arresterebbero gli estortori!”. Il ragionamento di Grassi è semplice: per fare certi affari in sicurezza in Sicilia bisogna mettersi d’accordo con i mafiosi? E allora si rinunci a quegli affari! Punto. Le parole di Libero Grassi pronunciate in quella trasmissione furono percepite sicuramente come insopportabili e pericolose, perché non provenivano da un ventenne ad inizio carriera, che facilmente avrebbe potuto essere ridimensionato (“Non sa quel che dice…”), ma da un uomo di quasi settant’anni, quaranta dei quali vissuti da imprenditore di successo, che dopo gli esordi in Lombardia aveva deciso di tornare in Sicilia a fare affari e ci era pure riuscito. L’obiezione di coscienza al “così fan tutti”, al quieto vivere capace di incorporare la mafia tra le variabili normali dell’agire civile, politico ed economico non poteva essere più dirompente.
E invero non ha perso la sua carica dirompente nemmeno oggi.

Contemporaneamente infatti e da decenni un altro imprenditore, tra i più potenti del Paese, destinato da lì a poco a diventare anche protagonista della scena politica, addizionando potere a potere, pagava puntualmente Cosa Nostra per non avere guai, per farsi i fatti propri in santa pace: Silvio Berlusconi. Insomma: da una parte l’Italia di Libero Grassi, dall’altra quella di Berlusconi. Da una parte l’Italia che lavora senza voler spartire nulla con la mafia, dall’altra l’Italia che per lavorare si “attovaglia” e spezza il pane con chi in quegli anni è responsabile del massacro di una moltitudine di servitori dello Stato. Morto Berlusconi, la responsabilità morale (se non penale) di queste condotte andrebbe imputata a chi continua in un modo o in un altro a godere del capitale economico, sociale e politico prodotto anche attraverso quell’osceno “tavolino”, a chi cioè non ha alcuna intenzione di rinunciare all’eredità.

Ovviamente non ha questa intenzione “Lafamiglia” (a proposito: qualcuno sa che fine abbiano fatto gli enormi fondi neri accumulati di per certo attraverso la sistematica evasione fiscale per la quale Berlusconi, fatto unico nella sua storia, veniva condannato definitivamente a quattro anni di reclusione, esattamente dieci anni fa?). Ma non pare che abbia questa intenzione nemmeno chi, grazie a Berlusconi, è entrato nell’agone politico e oggi addirittura governa il Paese, esprimendo tra l’altro la presidenza della Commissione parlamentare antimafia. Non mi riferisco genericamente al “merito” esplicitamente rivendicato da Berlusconi stesso di aver sdoganato fascisti e secessionisti, aprendo loro le porte del potere istituzionale, ma al sostegno materiale ricevuto. Nel bel libro di Andrea Palladino, Meloni segreta (ed. Ponte alle Grazie), viene intervistato un importante protagonista della epopea del MSI, poi AN: Silvano Moffa, legato per molti anni alla Meloni e alla Colosimo. Si legge: “Quando nasce Fratelli d’Italia nel 2012, vi fu un beneplacito di Berlusconi, ne sono certo. Lui ha sempre voluto una destra che poteva in qualche modo controllare ed essere sempre lui il centro” e secondo le indagini di Palladino il “beneplacito” si tradusse in 750 mila euro versati nel 2013.

Dunque, fino a prova contraria (attendiamo atti da parte di Giorgia&Chiara di rinuncia all’eredità), per tragica ironia della storia, oggi la commemorazione istituzionale di Libero Grassi, antifascista fin dal nome (gli fu dato in omaggio al sacrificio di Giacomo Matteotti!) e radicalmente anti mafioso, sarà appannaggio degli “eredi al quadrato”: del duce e di Berlusconi. Che pena! E pensare che a Libero Grassi sarebbe bastato a suo tempo pagare pochi milioni delle vecchie lire che lo “zio” Stefano gli chiedeva, per continuare a tenersi la sua azienda e magari per diventare pure Senatore della Repubblica. Invece preferì obiettare e farlo pubblicamente, come atto politico.

L’obiezione di coscienza, che non può mai ridursi a qualche parola ben studiata, ma che sempre ha a che fare con scelte irreversibili per le quali si paga un prezzo, a volte riesce ad essere l’innesco di una ribellione corale. Quella di Libero Grassi ne ha scatenata una profonda, ramificata e resistente, ben sintetizzata dallo slogan dei ragazzi di Addio Pizzo: un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. E pure, aggiungo io, chi lo ricicla.

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