L’economia italiana è ferma o poco ci manca. Dopo diversi dati usciti negli ultimi mesi che fotografavano questa situazione di stagnazione anche il Centro studi di Confindustria emette la sua diagnosi. La dinamica del Pil italiano nel secondo trimestre “è stimata molto debole, quasi ferma” e le attese per il terzo trimestre “sono poco più positive“: flettono l’industria e le costruzioni mentre prosegue la crescita moderata dei servizi, trainati dal turismo. La crescita è “frenata dai tassi alti” e anche la spinta dell’export si è arrestata. Del resto, nota il Csc, la Germania “è in recessione” anche se secondo gli esperti durerà poco. A conclusioni simili a quelle del Csc era giunta anche Banca d’Italia che nell’ultimo bollettino mensile segnalava come la crescita economica, “dopo il rimbalzo del primo trimestre”, si fosse “interrotta”, e il Pil “fosse rimasto pressoché invariato in primavera”. La crescita quest’anno comunque resta prevista per l’1,3%, mentre nel 2024 e nel 2025 viene abbassata rispettivamente allo 0,9 e all’1%. I dati ufficiali sul Pil italiano del periodo aprile-giugno verranno diffusi lunedì prossimo dall’Istat.

Il rapporto Csc evidenzia anche come continui la discesa dell’inflazione (a giugno +6,4% annuo), grazie al prezzo del gas poco sopra i minimi (32 euro a Mwh) che ha infine riportato i prezzi energetici al consumo su ritmi moderati (+2,1%). A luglio la Fed ha alzato il tasso negli Usa al 5,50% non escludendo nuovi rialzi, ma i mercati considerano questo come l’ultimo. Anche la BCE ha deciso un altro rialzo a luglio, a 4,25%, lasciando la porta aperta per ulteriori mosse, giudicando l’inflazione ancora troppo alta. Ma per Confindustria in questo modo il “credito è troppo caro e più scarso”: le imprese italiane stanno subendo un continuo aumento del costo del credito (4,81% a maggio). Questo sta riducendo lo stock di credito bancario (-2,9% annuo a maggio). Le indagini Istat e Banca d’Italia mostrano un irrigidimento dei criteri di offerta (costi, ammontare, scadenze, garanzie), una domanda frenata dal costo eccessivo, una quota significativa di imprese che non ottiene credito (6,0%), soprattutto perché rinuncia per le condizioni onerose (56,3%).

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