di Andrea Vivalda

Stando alla relazione illustrativa del governo sul decreto legislativo siglato dal CDM mercoledì sera, che prevede un plafond extra per finanziare la cassa integrazione ad ore per le categorie di lavoratori più esposte alle temperature estreme (edilizia e agricoltura), peraltro escludendo agricoli stagionali e rider, il decreto incorpora un articolo che “al fine di consentire – recita la relazione – un graduale adempimento da parte degli operatori interessati” proroga la data ultima per il versamento della tassa sugli extraprofitti da parte delle società energetiche dal 30 giugno (scadenza già violata) al 30 novembre, senza l’applicazione di alcuna sanzione o interesse.

Non è certo la prima volta e probabilmente non l’ultima: il governo Meloni ci ha abituati all’uso massiccio della decretazione d’urgenza (a maggio erano già 25 i decreti legge emanati in 8 mesi, a fronte di sole 5 leggi che hanno seguito l’iter parlamentare ordinario), soprattutto caratterizzata dall’eterogeneità dei contenuti. La tattica è semplice ed efficace: “infilare” un atto estremamente impopolare all’interno di un decreto urgente molto popolare, in modo da ottenerne l’approvazione forzata in quanto chi vi si opponesse sarebbe tacciato di opporsi alla parte veramente necessaria e popolare del decreto stesso.

Secondo l’art. 77 della Costituzione italiana, il decreto legge è un atto adottato dal governo in casi di “necessità ed urgenza” per rispondere ad una specifica esigenza. Concetti sui quali il presidente Mattarella ha già tentato di richiamare la maggioranza all’ordine a fine maggio, convocando i presidenti delle camere e raccomandando di evitare ulteriori decreti “omnibus”. Ciononostante, dopo il rigassificatore (proprio di fronte alla Ravenna alluvionata) infilato nel decreto per gli aiuti urgenti agli alluvionati romagnoli (solo un esempio fra i tanti), oggi ci ritroviamo il “favorino” ai colossi dell’energia infilato nel decreto – realmente urgente – per evitare i morti sul lavoro a causa del caldo estremo: quel gettito da extraprofitti (quel poco che ne è rimasto dopo degli errori tecnici commessi dal governo Draghi nella sua definizione iniziale) non lo incasseremo dunque oggi, ma forse a novembre, senza alcuna sorta di penale o interesse – per aiutare le “povere” aziende energetiche.

Ci si interroga dunque sul fatto se possa ancora una volta la Presidenza della Repubblica controfirmare un decreto legge che, se da un lato consente di tutelare la sicurezza dei lavoratori (anche se con alcuni esclusi e su questo se ne potrebbe valutare la costituzionalità in termini di garanzia di equità), dall’altro sfrutta il carattere di urgenza del decreto stesso per rinviare l’incasso di quel gettito da extraprofitti che, stante la drammatica situazione di povertà di ampie fasce del paese, sarebbe al contrario assolutamente urgente proprio non rinviare.

Dacché non pare infatti che le società energetiche soffrano di un’imminente crisi di liquidità, non si ravviserebbe l’urgenza di rinviarne il versamento delle tasse sugli extraprofitti. Al contrario, con 5,6 milioni di italiani in povertà assoluta e 8 in povertà relativa (fonte Istat 2023), si ravviserebbe proprio la contraria urgenza di incassare quel gettito da extraprofitti che potrebbe essere utilizzato a supportare le persone in difficoltà.

L’iter del decreto e che cosa ne farà il presidente Mattarella si vedranno nelle ore successive a quelle in cui scrivo, ma sta di fatto che ancora una volta il governo Meloni ha infilato un “favorino” ai poteri forti mascherandolo fra le righe di un decreto venduto come un aiuto ai cittadini e ai lavoratori (stagionali e rider esclusi).

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