In pieno dispiegamento degli effetti della crisi climatica, il Gruppo Eni ha deciso di citare in giudizio Greenpeace Italia e ReCommon per diffamazione, richiedendo un risarcimento danni. Al centro delle accuse vi è la campagna stampa partita in seguito al lancio della “Giusta Causa”, ovvero la causa civile intentata contro il gruppo dalle due Ong per “i danni subiti e futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui Eni ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando a investire nei combustibili fossili”, per dirla con le stesse parole di Greenpeace Italia, che in un comunicato spiega quanto sta accadendo: “Lo scorso 9 maggio insieme a 12 cittadine e cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon avevano notificato a Eni un atto di citazione davanti al Tribunale di Roma”, configurando il primo caso di climate litigation – letteralmente contenzioso sul clima – in Italia. Un’azione, si legge ancora nel comunicato, che “ha avuto una vasta eco sui media internazionali”, provocando così l’attuale reazione di Eni. “Sapevamo a cosa andavamo incontro quando abbiamo lanciato la Giusta Causa e abbiamo scelto di farlo perché nessun rischio è più grande di quello climatico. Intendiamo resistere a questo tentativo di intimidazione”, commenta Antonio Tricarico di ReCommon.

Per le due organizzazioni, ciò che Eni sta intentando si configura come “una causa strategica contro la pubblica partecipazione”, ovvero “cause civili che, sebbene siano spesso basate su accuse infondate, sono intentate da grandi gruppi di potere per disincentivare la protesta pubblica, sottraendo risorse economiche alle parti chiamate in causa. In altre parole, si tratta di uno stratagemma ormai ben collaudato per soffocare sul nascere ogni critica e ogni forma di protesta”. “È paradossale – prosegue Greenpeace – che proprio mentre l’Italia è devastata dagli impatti dei cambiamenti climatici, ormai sotto gli occhi di tutti in molte regioni del mondo, la più importante multinazionale italiana, partecipata dallo Stato, chieda un risarcimento danni a chi ha non ha fatto altro che sollecitare un reale cambiamento nelle politiche energetiche di una grande società che, continuando a investire sul gas e sul petrolio, minaccia il pianeta e la sicurezza delle persone”.

Dopo la diffusione della notizia, Eni dal canto suo ha precisato di “non avere affatto avviato una causa di diffamazione” ma di aver “proposto una mera istanza di mediazione“. Con questa iniziativa la società di Stato conferma comunque di lamentare “i profili diffamatori dell’accusa formulata a danno dell’azienda di compiere dei ‘crimini climatici’ nell’implementazione della propria strategia di transazione energetica”. Una definizione che Eni, continua il comunicato, “trova assolutamente intollerabile nella prospettazione, con profili di rilevanza penale, offerta dai due soggetti in questione”. Per “soggetti in questione” Eni intende le due associazioni ambientaliste, Greenpeace e ReCommon.

Eni assicura nella nota di essere “costantemente impegnata nel perseguire i propri obiettivi di decarbonizzazione, annunciati in modo trasparente ai propri stakeholder e finora sempre rispettati nello svolgimento della propria attività ed anzi, spesso, accelerati; ma è anche fortemente focalizzata sul mantenimento di una quota importante di produzione di energie tradizionali, in particolare gas e con i relativi investimenti nella sua decarbonizzazione, volta ad assicurare al Paese condizioni imprescindibili come la sicurezza energetica, la maggiore diversificazione delle vie di approvvigionamento, la competitività del sistema economico industriale e la sostenibilità economica della transizione stessa. Questo – riflette ancora la partecipata statale – perché sia a livello Paese che a livello europeo, la domanda di gas è rimasta negli anni invariata, e abbiamo assistito, con la crisi energetica dello scorso anno, a che cosa abbia voluto dire creare una repentina mancanza di gas in termini di inflazione e peso economico su famiglie e imprese”.

L’Eni ricorda infine che ReCommon e Greenpeace “il cui diritto di corretta contestazione è sacrosanto, oggi lamentano una presunta e inesistente intimidazione da parte di Eni solo perché questa ha chiesto una mediazione a tutela del proprio buon nome e comportamento, come è nel proprio diritto. Altrettanto diritto esercitato dalle due organizzazioni, questo sì davanti a un giudice e contro Eni (senza tentativo di mediazione alcuno)”.

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