di Alessandro Di Grazia

Ho letto con interesse l’intervento di Monica Lanfranco sul tragico caso di Giulia Tramontano. La morte di questa ragazza rappresenta un sintomo del superamento di una soglia che riguarda la sacralità della vita e della figura della donna incinta che rappresenta, in modo paradossale, un immaginario di verginità. L’uccisione di una donna che porta in grembo un figlio distrugge una volta per tutte questo immaginario che implica il rispetto assoluto della gestante.

Detto questo, il riferimento al maschilismo patriarcale, che spesso risuona nei commenti dei conoscenti o delle amiche della vittima, ma anche nei discorsi degli esperti, mi appare del tutto insufficiente a rendere conto di un’emergenza sociale che si ingrossa ogni giorno che passa. Un dato esteriore che ci permette di mettere in discussione la tesi del patriarcato maschilista è il fatto che su questo fronte l’Italia non è certo al primo posto in Europa: su un totale di 20 paesi monitorati negli ultimi anni: meglio di noi fanno solo i Paesi Bassi, la Polonia, l’Irlanda e la Croazia, stati che si collocano al di sotto della media europea.

I paesi che uccidono di gran lunga più donne sono la Lituania e l’Estonia, seguiti poi dagli altri paesi con un’incidenza più che dimezzata, tra cui si contano tra gli altri anche Germania e Austria. Come si evince dalle statistiche, paesi culturalmente molto distanti hanno problemi più gravi dei nostri. Un unico dato è per lo più costante: questi delitti avvengono quasi esclusivamente all’interno di relazioni parentali o affettive importanti: più o meno 9 donne su 10 vengono uccise in quei contesti.

Anche l’immaginario dei migranti assassini è assurdo e destituito da qualsiasi fondamento e in questo concordo con Lanfranco. Alla luce di tutto ciò dobbiamo cercare altrove per capire la meccanica di questo tipo di delitti.

L’idea dell’assenza del padre credo sia centrale in questa storia. Se accordiamo valore all’idea della sua evaporazione, allora sappiamo che il principio di autorità e della legge si sfalda; veniamo così a trovarci in una situazione sconosciuta. L’idea del paternalismo non tiene perché il suo fondamento, il padre stesso, è assente. Questa assenza è compensata dall’eccesso perverso del capitalismo consumistico che è penetrato ormai in profondità nel mondo di intendere la sessualità e le relazioni in generale e le cui vittime sono i più giovani. Su tale sfondo, senza il quale non possiamo capire granché, le donne sono sollecitate ad assumere anche parte del ruolo paterno.

A me sembra che gli eccessi delittuosi a cui assistiamo siano l’effetto di uno sconfinamento e dello sfaldamento della struttura identitaria dei figli. La madre che stabilisce con il figlio un rapporto simbiotico prepara il terreno di una pericolosa frattura identitaria. In questo le madri sono lasciate sole: mi pare che un dibattito pubblico serio su tali questioni sia assente. Non è necessario solo creare negli uomini, ma anche nelle madri e nelle donne in generale, la consapevolezza della natura di queste violenze, che sono lo specchio dell’impossibilità di affrontare un rifiuto. L’unico modo per “risolvere” è eliminare la causa della smentita, cosa che rafforza il meccanismo di soddisfacimento immediato del bisogno, meccanismo che conosciamo benissimo grazie allo stile consumistico della nostra vita.

Il problema non si origina quindi da una concezione patriarcale della società; piuttosto è in causa quella matriarcale, mal intesa e mal funzionante. So che suona antipatico e non voglio di certo gettare la croce sulle donne, ma solo indicare dove il problema può essere identificato. Fare da madre e da padre allo stesso tempo è forse una missione impossibile, che le nostre società “avanzate” sembrano impreparate ad affrontare.

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