Musica

Daniele Silvestri: “C’è una corsa alla banalizzazione dei feat, fatti per i like e incrementare lo streaming. Riconoscere quelli veri e sinceri è facile”

“Disco X” è una bella raccolta di storie, personaggi, amori, tragedie e con incursioni anche nel sociale con i temi dell'integrazione e dei bambini vittime delle guerre, gli omaggi ripetuti nascosti o palesi a Lucio Dalla

di Andrea Conti

Sono felicemente un cantastorie”. Daniele Silvestri si presenta così, a quattro anni dal precedente progetto discografico, con i nuovi brani di “Disco X”, in uscita venerdì 9 giugno. Una bella raccolta di storie, personaggi, amori, tragedie e con incursioni anche nel sociale con i temi dell’integrazione e dei bambini vittime delle guerre, gli omaggi ripetuti nascosti o palesi a Lucio Dalla. Non mancano le collaborazioni nate in maniera del tutto spontanea, il cantautore ci ha mostrato dei video che ritraevano gli artisti coinvolti passati da casa sua, ed ecco che ci sono Fulminacci (“lo considero un po’ un figlioccio”) in “L’uomo nello specchio”, Giorgia (“è stata molto generosa perché l’ho chiamata in mezzo ai suoi mille impegni”) per la magia jazz di “Cinema D’Essai”, ci sono anche Frankie hi-nrg mc con Wrongonyou nell’intensa “While The Children Play”, l’attrice neo Premio David di Donatello Emanuela Fanelli nel singolo “Tutta” e la contaminazione jazz-rap con Davide Shorty in “Up in the sky”.

Il decimo disco della carriera di uno dei cantautori più interessanti del panorama musicale italiano, nasce in parte come work in progress sul palco dei teatri, dove Silvestri si è esibito in questi mesi. Da alcuni racconti della platea o arrivati sui social, si è piano piano sviluppato un impianto musicale per poi arrivare ad un abbozzo di forma-canzone. Così alcuni brani sono entrati dritti nel disco. Dal primo luglio Daniele Silvestri tornerà in tour con “Estate X” fino a settembre.

Da dove nasce questo metodo di lavoro?
Dalla voglia di sporcarsi le mani e suonare di un certo modo ossia più semplice e libero possibile.

Hai ricevuto più racconti da uomini o donne?
Stranamente moltissime donne si sono raccontate.

Come mai questo titolo?
Semplicemente ho nominato la cartellina del mio pc mentre la stavo riempendo con le nuove canzoni. Non pensavo sarebbe stato quello il titolo definitivo. Mano mano poi mi sono reso conto che aveva un senso.

“Per fare un sacco di clicks ci vuole un ospite x dategli un foglio e una bic fatelo urlare nel mic per un miliardo di stream”. Nel primo brano “Intro X” non le mandi a dire…
Il mio benvenuto collettivo e ironico (ride, ndr). Il sé il concetto del feat non mi dispiace, ma ultimamente vedo una esasperazione. Vengo dagli Anni 90 quando le collaborazioni erano davvero rare, quando accadeva era davvero un evento. Io, Gazzè e Fabi siamo stati tra i primissimi. Oggi c’è una corsa verso la banalizzazione, la corsa ai like e questo innesca un meccanismo per incrementare lo streaming. Riconoscere i feat. veri e sinceri è abbastanza facile, fermo restando che nell’ambito della musica rap è normale che le collaborazioni ci siano. Penso all’esperienza di Machete Crew.

In “Il talento dei gabbiani” parli anche della potenza dei talent sulle vite di famiglie e ragazzi. Da dove nasce questo racconto?
Da diverse storie che ho ascoltato e che mi sono arrivate. Ragazzi fragili e colpiti da esperienze poi non sfociate nel successo.

Parli di vittime di depressione?
Sì, anche. Penso sia inevitabile accada se per arrivare al cosiddetto successo si offrono scorciatoie, che noi chiamiamo talent. Descrivo le famiglie che spingono i ragazzi a partecipare, il direttore di produzione di uno studio tv che accompagna al patibolo i candidati e infine i protagonisti e aspiranti concorrenti di talent che alla fine prendono le distanze da tutto questo. Il finale lascia uno spiraglio di speranza.

Cosa non funziona nel sistema talent?
I talent ci hanno riempito gli occhi e le orecchie, in tutti questi anni, di tante cose che sono uscite da lì ed hanno avuto vita e durata estremamente breve. Tutto si decide in pochissimi minuti perché c’è qualcun altro che decide il tuo destino. Il talento è apparenza, c’è voglia di apparire e far spettacolo. C’è la trappola dell’essere giudicati e guardati in ogni istante, in modo quasi definitivo. C’è un evidente scollamento e disfunzione rispetto al mondo reale.

In “Marc Ciai” una zingara fa una fine tragica. Perché in Italia, dopo anni, c’è una mancata integrazione?
In questi anni questo popolo viene associato, con la cassa di risonanza dei media, alla micro-criminalità. Parliamo però di un popolo ricco di storia, portato per sua stessa formazione antropologica al nomadismo. Anziché ricorrere al facile insulto dovremmo comprendere la loro cultura che io trovo sia affascinante.

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