La caduta del ‘sanchismo’ fa rumore.

Per provare a capire le ragioni di una débâcle senza precedenti ci soffermiamo sui dati di due regioni, l’Extremadura e l’Andalusia, da sempre roccaforti quasi inespugnabili della sinistra spagnola.

Nella piccola regione occidentale non basta al Psoe del premier Pedro Sánchez la maggioranza relativa raggiunta con un ampio 39%, i socialisti perdono comunque il potere tallonati dai populares che ora, in alleanza con l’ultradestra di Vox, ottengono i 33 seggi necessari per affermarsi come forza di governo. Eppure il presidente della “comunidad”, Guillermo Fernández Vara, era ben visto, con un operato mai sfiorato da scandali e politiche tangibili di sviluppo che hanno sollevato una delle regioni storicamente meno avanzate di Spagna.

La caduta è stata rovinosa anche qui, in quello che era il “granero socialista”, lo storico granaio dove il Psoe ha mietuto consensi governando dalle prime elezioni regionali del 1983 quasi ininterrottamente, con un’unica parentesi conservatrice durata appena quattro anni (dal 2011 al 2015).

Se guardiamo alle elezioni municipali in Andalusia il dato è ancor più sorprendente: le città capoluogo passano nelle mani della destra una dietro l’altra, come tessere di un domino, parti di un gioco crudele. Ad Almeria, Granada, Córdoba, Malaga e Cadice i populares governeranno con un monocolore, a Huelva e Siviglia in coalizione con Vox. Perdere Siviglia ha lo stesso sapore di disfatta, politica e morale, avvertita nel lontano 1999 dalla sinistra italiana nel suo feudo di Bologna per mano di Guazzaloca.

È consegnata ai migliori interpreti de Il Principe di Machiavelli l’analisi di questa sconfitta, soprattutto se pensiamo che il governo Sánchez è divenuto un faro in Europa per le politiche sociali, per le ricette adottate sul salario minimo, nel contrasto alla disoccupazione e al precariato. Allora perché il popolo di sinistra ha voltato le spalle in modo così sprezzante al capo dell’esecutivo?

Per le divisioni interne e la forte litigiosità in seno alla coalizione di sinistra, si affrettano a dire molti; per l’eccessiva vicinanza ai partiti indipendentisti baschi e catalani, sottolineano altri. Non pochi analisti vedono sfumare all’orizzonte il sanchismo, mentre altri leggono l’inattesa anticipazione delle elezioni politiche come una mossa spiazzante che potrebbe sortire un triplo effetto: evitare un estenuante logoramento personale; favorire un’unione, finora impossibile, tra quel che resta alla sinistra del Psoe; acuire, infine, le tensioni tra i Populares di Núñez Feijóo e Vox di Santiago Abascal nel pieno delle trattative per la distribuzione dei posti del potere locale.

È per questo che il quotidiano progressista El País si chiede in un editoriale se il primo ministro sia più audace o temerario.

L’eco della instabilità spagnola si è spinta ben oltre i confini nazionali, preoccupa non poco Bruxelles visto che l’avvio del semestre spagnolo di presidenza dell’Unione europea, previsto per il 1 luglio, avverrà nel mezzo di una campagna ricca di colpi bassi e nelle fasi successive caratterizzate da ricerche di accordi e pressioni delle formazioni minori in una Spagna sempre più ‘italianizzata’.

“Non c’è nulla di più difficile da gestire”, sosteneva Niccolò Machiavelli, “di esito incerto e così pericoloso da realizzare, dell’inizio di un cambiamento”.

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