Il vento di destra spira sempre più forte in tutta Europa e non solo. I risultati delle amministrative in Italia e la vittoria in Spagna, che ha portato alla caduta del governo nel Paese iberico, confermano un trend che va avanti ormai da almeno un decennio nel Vecchio Continente e che ha trovato linfa vitale nelle nuove emergenze alle quali i governi si sono trovati a far fronte: Covid e guerra in Ucraina su tutti. Una tendenza confermata dalle ultime indiscrezioni riguardanti la strategia che aleggia nella testa del presidente del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber: tentare l’avvicinamento ai Conservatori di Giorgia Meloni per una nuova coalizione europea che guardi alle formazioni di destra.

Se il caso italiano è in continuità con l’attuale sentimento dell’elettorato, il risultato spagnolo mette un enorme punto interrogativo sull’esito delle prossime elezioni Politiche, anticipate a luglio dopo le dimissioni del premier Pedro Sanchez. Anche in un Paese con un’importante tradizione di sinistra ad essere premiati alle urne sono stati il Partido Popular, risorto dalle proprie ceneri dopo lo scandalo corruzione che nel 2018 travolse l’allora governo Rajoy, e il partito neofranchista di Vox che, oggi, si candida come principale alleato dei Popolari anche su scala nazionale. Mentre dall’altra parte della barricata si è visto un Psoe, partito di Sanchez, incapace di intercettare i consensi dell’ormai defunto Ciudadanos e di confermare le aspettative. Una vera e propria débâcle, invece, per Podemos che sta affrontando un periodo di divisione dopo il lancio della formazione alternativa guidata dalla vicepresidente del governo e ministra del Lavoro, Yolanda Diaz.

Questi risultati, però, sono parte di una tendenza che caratterizza gran parte dei Paesi europei e non solo, basta guardare alla forte influenza che Donald Trump è ancora capace di esercitare negli Stati Uniti nonostante i numerosi scandali che lo hanno coinvolto o all’ennesima vittoria alle Presidenziali turche per Recep Tayyip Erdoğan, rappresentante dell’ala più nazionalista e ultrareligiosa nello scacchiere politico anatolico. “Questa tendenza continua e non vedo, al momento, come sia possibile contrastarla – spiega a Ilfattoquotidiano.it Andrea Mammone, storico dell’Europa all’università La Sapienza di Roma – L’appeal esercitato dalle destre è ancora molto forte. In un contesto politico sempre più polarizzato, la tendenza generale è quella di votare agli estremi e questo favorisce quelle forze che fanno del populismo, della demagogia e delle ‘soluzioni facili’ a problemi complessi una strategia di comunicazione politica. Il tutto favorito da una situazione economica in leggero miglioramento”.

LE EMERGENZE HANNO AVVANTAGGIATO LE DESTRE – A questo proposito, oltre alla maggiore abilità dimostrata nel corso degli anni nell’intercettare il consenso dell’elettorato, i partiti di destra sono stati anche avvantaggiati dalle grandi emergenze che i governi hanno dovuto affrontare. Nella maggior parte dei casi, a guidare gli esecutivi europei durante il Covid o il conflitto in Ucraina non erano i partiti di destra che, stando all’opposizione, hanno sfruttato la loro posizione per far crescere i consensi: “Il Covid ha inevitabilmente influito – continua Mammone – In Italia, nei periodi più difficili, abbiamo avuto il governo giallorosso e quello semitecnico di Mario Draghi. In Spagna i Socialisti, in Francia Macron e così via. E le destre hanno fatto un’opposizione durissima a tutti quei provvedimenti giudicati necessari, ma molto restrittivi, messi in campo. Questo è anche legato al fatto che viviamo nell’epoca della post-verità, dove a problemi complessi si cercano di offrire soluzioni semplici, facilmente comprensibili, anche se spesso non realizzabili. L’esempio più lampante si ha negli Stati Uniti, dove milioni di persone sono ancora oggi convinte che la vittoria di Joe Biden sia frutto di elezioni truccate, come sostenuto da Trump”.

IL NUOVO CONTESTO SOCIALE – La situazione generale non può essere però spiegata solo con l’uso della demagogia o del populismo. Perché i casi che si possono prendere a esempio sono tanti: ci sono, come detto, quello italiano e spagnolo, ci sono le difficoltà del partito di Macron in Francia, dove Marine Le Pen continua ad avere una larga fetta di consensi, e anche la nuova ascesa nei sondaggi degli ultranazionalisti di Alternative für Deutschland a scapito dei Verdi in Germania. “La sinistra europea ha gradualmente perso appeal dalla caduta del muro di Berlino – spiega lo storico -, quando si è distaccata da alcuni totem che l’avevano caratterizzata per decenni, come ad esempio le politiche sociali, in nome della strategia liberale di stampo blairiano. È vero che a quest’ultima tornata anche un partito considerato di estrema sinistra come Podemos ha subito una dura sconfitta, ma non sarei così veloce nell’archiviare la sua esperienza. Stiamo vivendo un periodo di forti sconvolgimenti internazionali, nei quali assumere posizioni contrarie a quelle dominanti in Occidente può essere penalizzante. È anche vero che, in passato, chi ha proposto politiche fortemente di sinistra, come Jeremy Corbyn in Regno Unito, ha subito anche pesanti sconfitte. Quindi le ipotesi sono due: o la sinistra ha totalmente perso credibilità, e se è così non sarà facile riconquistarla, oppure non ha capito il nuovo contesto sociale in cui opera e, quindi, non riesce a intercettare una fetta di popolazione che storicamente la sosteneva”. Elettorato che, in alcuni casi, ha ritrovato nelle formazioni di destra la risposta ai propri problemi, o almeno un’alternativa: “Non è escluso – aggiunge Mammone – che proprio quella fetta di votanti non possa tornare a votare la sinistra se questa riuscirà a offrire alternative più vicine ai loro ideali”. Anche se il vero problema dei partiti di sinistra, aggiunge, non è tanto quello dei voti che si sono spostati a destra, “ma quelli che hanno perso andando ad allargare il fronte dell’astensionismo. Sono quei voti che le sinistre, anche in Italia, devono andare a rintracciare”.

LE MANOVRE A BRUXELLES – A confermare la tendenza a livello europeo sono anche le manovre in corso nei palazzi di Bruxelles. Secondo Repubblica, il presidente del Ppe, Manfred Weber, sarebbe pronto a offrire a Giorgia Meloni e ad altri leader dell’ala conservatrice un posto nella grande famiglia popolare in cambio del sostegno alla sua candidatura come presidente della Commissione europea alle prossime elezioni 2023. Secondo quanto raccolto da Ilfattoquotidiano.it, questa ipotesi è inapplicabile, dato che Meloni difficilmente rinuncerà al suo ruolo di presidente di Ecr, ma la strategia di Weber consiste più nel convincere un’ampia fetta dei Conservatori a entrare nella grande coalizione che deciderà le nomine nei posti chiave dell’Ue, insieme a Socialisti, Renew Europe e, appunto, Ppe. In cambio, ovviamente, di una fetta della torta. La sua è anche una battaglia personale contro Ursula von der Leyen che, alle ultime votazioni del 2019, gli ha sfilato la poltrona di Palazzo Berlaymont nonostante il politico tedesco fosse lo Spitzenkandidat dei Popolari. “Ma c’è di più – conclude Mammone – Le mire personali, se Weber dovesse raggiungere il proprio obiettivo, provocherebbero notevoli conseguenze anche nelle istituzioni europee. Da almeno un decennio il politico bavarese cerca di sdoganare l’alleanza con i partiti più conservatori, andando contro ai principi liberali ed europeisti che da sempre caratterizzano il Ppe. Ricordiamo che, insieme a Forza Italia e altre formazioni Popolari, si oppose alla cacciata di Viktor Orban dalla più grande famiglia europea, come chiedevano invece i Paesi del Nord. Ma se a queste elezioni dovesse raggiungere l’obiettivo ci sveglieremo in un’Europa diversa, nella “fortezza Europa” voluta dai partiti nazionalisti, chiusa in se stessa, inaccessibile per gli immigrati, ben lontana dall’Europa della solidarietà immaginata dai padri fondatori”.

Twitter: @GianniRosini

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