“Entro i primi di giugno vorrei presentare una proposta di legge sugli affitti brevi, non un decreto legge perché sarebbe una forzatura” aveva detto la ministra Daniela Santanché poche settimane fa all’assemblea di Federalberghi. E il ddl è arrivato prima del tempo, uscito dal Ministero del Turismo il 30 maggio e anticipato da La Stampa: ma non è quello che si sarebbero aspettati i sindaci delle 14 città ad alta densità turistica, o quantomeno la maggior parte di essi, che chiedevano poteri speciali per regolamentare la proliferazione degli affitti brevi in città, come un tetto massimo di giorni di affitto annui, dopo il quale fosse necessaria una licenza, e una “zonizzazione” delle città. E che, in più di un caso, non erano stati messi al corrente del ddl che sarebbe uscito dal Ministero. Ad esultare, per ora, sono solo le associazioni di chi vive di locazioni turistiche multiple, mentre sono durissimi i sindacati inquilini degli inquilini Sunia, Sicet ed Uniat Aps: “Un compitino commissionato da proprietari di alloggi e associazioni alberghiere”.

Il disegno di legge infatti, benché a parole punti a “fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”, si accontenta di molto meno. Uniforma la normativa nazionale e introduce un solo “limite”: nelle piattaforme come AirBnB non si potrà alloggiare per meno di due notti, nelle 14 città metropolitane ad alta densità turistica, anzi nei centri storici delle stesse (definizione che sarebbe adito a discussioni infinite), a meno che ad affittare non sia “un nucleo familiare numeroso composto da almeno un genitore e tre figli”. In quel caso nessun limite, così come nessun limite per tutte le aree intorno al centro storico e in tutte le altre città italiane, salvo una scelta autonoma del sindaco. Per il resto, il ddl si concentra sul definire cosa sia una locazione turistica, introdurre un codice identificativo nazionale che sostituisce i precedenti codici regionali (cioè un obbligo di comunicazione di avvio dell’attività per chi affitta casa propria ai turisti), e prevedere un simile obbligo per chi svolge “attività di locazione di immobili ad uso abitativo per finalità turistiche” a livello imprenditoriale, con uno specifico codice Ateco.

Il disegno di legge è tanto blando da risultare quasi incomprensibile nella ratio che lo ha prodotto, andando in netta controtendenza rispetto a ciò che sta accadendo in tutta Europa, dove i sindaci delle città turistiche stanno facendo in modo di limitare il numero di nuove locazioni turistiche, non semplicemente di contarle mentre continuano a crescere. Tanto che pure la stessa AirBnB considera “benvenuto” il ddl. Anche l’unica limitazione prevista, che obbliga i turisti ad andare in albergo per meno di due notti di alloggio, ha un’efficacia del tutto limitata: già oggi i locatori extralberghieri di rado accettano prenotazioni per una sola notte. E infatti pure Federalberghi, che avrebbe dovuto essere favorita dal ddl, nelle intenzioni degli estensori, dichiara: “Non possiamo nascondere la nostra delusione per il contenuto della proposta” incapace “di incidere concretamente sul problema della concorrenza sleale e dell’abusivismo che inquinano il mercato”. Ma non va dimenticato che si tratta di un disegno di legge, non di un decreto legge: la possibilità che esca dalle Camere in questa forma sono molto limitate. Dal Ministero del Turismo chiariscono che si tratta di una bozza che sta circolando, condivisa con le parti, per ottenere ulteriori pareri. Ma il presidente di Aigab – l’associazione dei property manager – può già parlare, nel portale immobiliare Idealista, di un “un importante riconoscimento al ruolo dei gestori che esplicitamente possono, come già avviene in molte regioni italiane, diventare gli intestatari del codice identificativo nazionale”.

Filippo Celata, ordinario di geografia economica a La Sapienza, e studioso del fenomeno degli affitti turistici e del suo impatto sulle città, è amaro, e piuttosto convinto che di questo disegno di legge, alla fine, non si farà nulla: “nessuna concessione ai Comuni di poter intervenire ulteriormente, come molti Comuni avevano chiesto: eppure tutta questa operazione” cioè l’impegno di Santanché a regolamentare gli affitti brevi “nasce da quella richiesta, che rimane non solo insoddisfatta, ma di fatto preclusa. Almeno fino al prossimo governo, ai prossimi interminabili dibattiti ai quali seguirà, di nuovo, il nulla”. Nel mentre, le città affogano, con variazioni dei prezzi degli affitti su base annuale del +10%, in continua crescita dopo la ripartenza post-pandemica.

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