Per Amnesty Italia si tratta dell'”ennesima prova del disprezzo per i diritti umani da parte della magistratura egiziana”. Nelle aule del tribunale di Mansoura è stato deciso un nuovo rinvio per Patrick Zaki, visto che il giudice titolare del processo non si è presentato all’udienza ed è stato tutto posticipato al 18 luglio. A dirlo all’Ansa è stato lo stesso Zaki al termine della brevissima udienza che si è tenuta con un sostituto. Lo studente egiziano dell’Università di Bologna è attualmente a piede libero, ma rischia sempre altri cinque anni di carcere per il contenuto di un suo articolo. Formalmente l’udienza odierna serviva solo a far depositare atti della difesa ma, trattandosi di un giudice monocratico, come sempre c’era la possibilità di una sentenza. Inoltre, per la prima volta dall’inizio del processo nel settembre 2021, alla precedente udienza del 28 febbraio avvocati del ricercatore dell’Alma Mater bolognese avevano potuto esporre in maniera organica la loro difesa, creando l’aspettativa di una sentenza già oggi.

Nel confermare la brevità e formalità dell’udienza, Patrick Zaki ha sottolineato che dopo la deposizione odierna di atti della difesa il 18 luglio il giudice non può far altro che pronunciare un verdetto. Che, peraltro, sarebbe pronunciato al momento giusto, ossia nel pieno di un “dialogo” tra l’amministrazione del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e parte dell’opposizione e della società civile anche sul rispetto dei diritti umani. “La difesa ha finito il suo compito. Non può aggiungere o fare null’altro. Ora tocca al giudice e alla Giustizia porre fine a questo processo”, ha detto Patrick parlando all’Ansa a Mansura. “Abbiamo aspettato il giudice principale del processo. Ma non è venuto. Per questo abbiamo aspettato che arrivasse un altro giudice. È bastato un minuto per prendere la mia carta d’identità e le mie carte difensive”, ha premesso. “Ora penso che sia il momento giusto, perché sentiamo parlare molto del Dialogo nazionale e della soluzione di diverse questioni relative ai difensori dei diritti umani e alle ong”, ha detto ancora parlando davanti al Palazzo di Giustizia. “Per questo penso sia un buon momento per chiudere questo iter e darmi il diritto di tornare a Bologna, riprendere la mia vita normale e discutere la tesi all’Università” Alma Mater”, ha insistito il ricercatore in studi di genere egiziano.

La sua vicenda giudiziaria era iniziata con l’arresto del 7-8 febbraio 2020 e dura da tre anni e tre mesi, di cui 22 passati in carcere. L’accusa di “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” si basa su un articolo scritto dal ricercatore nel 2019 su un attentato dell’Isis e due casi di presunte discriminazioni di copti, i cristiani d’Egitto. Durante il periodo pre-processuale, tra il febbraio 2020 e il settembre 2021, Patrick aveva subito lo stillicidio di 18 udienze (slittate peraltro nove volte) in cui furono decisi prolungamenti della sua custodia cautelare passata quasi tutta nel carcere di Tora al Cairo: i rinnovi, come previsto dalla normativa, nei primi cinque mesi furono di 15 giorni ciascuno e poi di 45.

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