E’ mia abitudine non commentare le sentenze: non l’ho fatto col primo grado e nemmeno con l’appello e, quindi, anche adesso mi astengo sulla decisione della Cassazione, che ha posto fine alla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Con riferimento alla prefata sentenza leggo di tutto: costituzionalisti e giuristi nascono come funghi, opinando e biasimando con argomenti risibili l’amen – o the end – sulla trattativa Stato-mafia. Vorrei sommessamente far notare che la Cassazione è giudice di legittimità e che non entrando nel merito non assolve proprio nessuno, ma nel caso di specie ha confermato le assoluzioni d’appello, facendo decadere le accuse.

Ho l’abitudine di leggere migliaia di atti processuali e dispositivi di sentenza riguardanti, appunto, processi di mafia. Detto questo, mi permetto di sottolineare che talvolta si leggono strafalcioni. Sarebbe saggio e doveroso, ancor prima di avventurarsi in nozioni giuridiche, leggere le carte processuali. Vedete, il variopinto mondo mafioso è molto ma molto complicato, per cui se ne dovrebbe parlare con cognizione di causa e soprattutto facendo riferimento a elementi fattuali. Invero, spesso accade che libri e vari talk show sulla mafia sostituiscano le aule di tribunale indottrinando la pubblica opinione, che rimane affascinata, soprattutto quando a raccontare fatti sono attori che ricoprendo cariche investigative divulgano lo stato delle indagini.

Non voglio tediarvi, ma non posso qui non ricordare la deontologia professionale dimostrata da due grandi magistrati, Falcone e Borsellino, nell’istruire il maxiprocesso. Il silenzio era la loro forza! Ricordo a tutti e a me stesso che i luoghi deputati ad esercitare la giustizia sono le aule dei tribunali e non certamente le pupiate televisive. Lo ripeto, pupiate televisive: intelligenti pauca! Certo criticare l’azione della magistratura è legittimo, ma vivaddio, occorrerebbe farlo tenuto conto dei fatti e non per mera presa di posizione. Eppoi, sarebbe opportuno e doveroso non generalizzare e soprattutto evitare le offese. Nel caso della trattativa Stato-mafia, si è scatenata verso la Cassazione una valanga di contumelie solo perché la sentenza non ha soddisfatto le aspettative desiderate. Ho letto espressioni davvero obbrobriose.

Nel corso delle mie letture di atti giudiziari, ho rilevato un’evidente omissione, laddove viene riportata incompleta la dichiarazione resa alla magistratura, dalla signora Agnese Piraino, moglie del dottor Paolo Borsellino. Ovviamente, averla riportata in modo errato stravolge la genuinità del verbalizzato. Orbene, eccola: “Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini senza essere seguiti dalla scorta. In tale circostanza, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo.” Invece, la frase che ha dato origine alle mie doglianze è: “Quando verrò ucciso, non sarà stata la mafia ad uccidermi ma saranno stati altri ad aver voluto la mia morte.”

Notate la differenza? E’ sparito il riferimento “ai colleghi”. La signora Agnese colloca il narrato il 18 luglio, ossia il giorno dopo che io, il dottor Borsellino, i sostituti Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli e il mio collega Danilo Amore interrogammo Gaspare Mutolo nella sede Dia di Roma. Quella mattina Mutolo, nel rispondere a una precisa domanda del magistrato Natoli, fece dei nomi di poliziotti e magistrati collusi con Cosa nostra. Quei nomi non confluirono nel verbale di interrogatorio. Dal verbale della signora Agnese si evince una risposta che diede alla domanda dei pm, una risposta importante e illuminante: “Prendo atto che le SS. LL. mi rappresentano, che la dott.ssa Alessandra Camassa ed il dottor Massimo Russo hanno riferito di essere stati testimoni di uno sfogo di Paolo, il quale, piangendo, disse di essere stato tradito da un amico”.

E’ davvero agghiacciante leggere lo sfogo del dr Borsellino: tutti noi dovremmo riflettere. E un’altra frase significativa è quella riportata sempre dal dottor Massimo Russo, che chiedendo a Borsellino “Qui come va?” (riferendosi alla procura di Palermo) ricevette come risposta: “qui è un nido di vipere”.

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