Anche l’economia, e soprattutto la politica economica, deve fare i conti con i meccanismi ambigui della società dell’informazione. Non sorprende dunque che la comunicazione abbia assunto un’importanza strategica. Non solo quella necessaria e virtuosa, ma anche quella tossica delle fake news. In questa opera di disinformazione fiscale si sta distinguendo la melonieconomics, ed anzi possiamo dire che la propaganda mistificatoria sia uno dei suoi snodi principali, altrimenti non si comprenderebbe l’ampio uso di informazioni distorte, inventate oppure del tutto sbagliate di cui si serve la premier Meloni quando inciampa nell’economia.

Anche se la fake news, balla o fandonia in italiano corrente, più gustosa è stata il famoso buco fiscale da 100 miliardi denunciato al mondo dal ministro delle Finanze. Buco del tutto inesistente ma dovuto solo ad una diversa contabilità del superbonus edilizio chiesta dall’Europa ed eseguita dall’Istat. Quindi nessun ammanco, ma solo una rimodulazione al presente di debiti futuri. Una perla nel mare magnum delle fake news della destra maldestra che in effetti non ha spaventato nessuno, come avrebbe dovuto se vera.

Ora Meloni si offre un’altra fake news, stavolta ancora più scintillante nella sua palese falsità. La premier dopo le sudate fatiche del primo maggio ha dichiarato alla stampa che la riduzione del cuneo fiscale contenuta nell’omonimo decreto è “il taglio delle tasse più importante degli ultimi decenni”. Affermazione un po’ esagerata, e quindi da perdonare come peccato veniale, oppure l’ennesimo falso fiscale d’autore che ridicolizza la credibilità del nostro primo ministro e della sua compagine?

La questione non è così facile e conveniente procedere per gradi. La riduzione dei contributi sociali, cioè l’aumento dello stipendio a carico dello Stato, è stata utilizzata in via eccezionale solo di recente, e cioè da Draghi. Riduzione di due punti dei contributi a carico dei lavoratori da luglio a dicembre 2022, spesa totale di circa 2 miliardi. Provvedimento confermato poi nella finanziaria 2023 per una spesa totale di 4,2 miliardi, ma solo per l’anno corrente. Ora, con una sospetta correzione dei conti al rialzo, sono state liberate altre risorse che verranno usate per un’ulteriore riduzione dei contributi sociali, altri 3,5 miliardi spendibili entro fine anno. Sarebbe questo, e soprattutto l’ultimo provvedimento, l’entusiastico e mai visto taglio delle tasse sbandierato dalla premier.

Su tanta bravura fiscale, in tempi di vacche magre, vengono molti sospetti e per molti motivi. Intanto perché si continua sulla strada dei provvedimenti fiscali con una scadenza molto limitata nel tempo, una specie di finanziaria liquida per usare un termine di impronta sociologica. Una nuova riduzione delle tasse semestrale, per così dire, che lascia il futuro molto incerto. In secondo luogo, anche la dimensione quantitativa del nuovo sgravio non è così rilevante. Il governo Draghi con la sua riduzione delle aliquote dell’Irpef ha fatto obiettivamente molto meglio riducendo le tasse per circa 6 miliardi all’anno. In terzo luogo, se vogliamo fare dei confronti sulle cifre, il provvedimento in assoluto più importante in questo campo molto arato recentemente dalla politica, è stato il bonus governativo degli ottanta euro, portato poi a 100, che è costato negli ultimi tra anni 22 miliardi di euro, cioè un’intera finanziaria.

Tutte le riduzioni dei contributi sociali sono state finanziate in disavanzo e quindi più che di riduzioni fiscali possiamo parlare di un salario assistenziale pagato dalla Stato attraverso le casse dell’Inps che già sono molto indebitate. Tra l’altro questa riduzione indiretta tasse attraverso la riduzione dei contributi è ancor più perversa fiscalmente perché genera un doppio debito: presente, perché l’Inps non incassa i contributi e futuro, perché comunque sorge l’obbligo pensionistico. Difficile fare peggio per le generazioni future, fiscalmente parlando.

Se, effettivamente, queste nuove risorse si fossero state, il governo avrebbe potuto muoversi in altre direzioni per riparare ai torti fatti. C’è da ricordare infatti che per far quadrare i conti della finanziaria 2023 il governo ha fatto due scelte importanti: il mancato adeguamento delle pensioni e il mancato riconoscimento della indennità di vacanza contrattuale per i dipendenti pubblici. Due atti dovuti e previsti per legge. In sostanza la Meloni ha tagliato deliberatamente le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici. Particolarmente odiosa sa è stata la scelta di non adeguare pienamente le pensioni al costo della vita venendo meno ad un patto intergenerazionale. Ora nessun pensionato può sentirsi al sicuro.

Anche i dipendenti pubblici sono stati sonoramente bastonati dalla melonieconomics. Draghi aveva inserito nella finanziaria 2022 l’indennità di vacanza contrattuale che corrisponde al 50% dell’inflazione programmata. La stessa cosa poteva fare la finanziaria della Meloni visto che i contratti di milioni di dipendenti pubblici sono in scadenza nel 2024 e le tasse vanno molto bene. Questa indennità avrebbe comportato un aumento del 3% e non dell’1% in forma di bonus una tantum come previsto. Finanziare la sanità, l’istruzione, la sicurezza, i beni pubblici sono l’ultimo pensiero della destra meloniana, una volta destra sociale ora destra elettoral-clientelare.

La riduzione temporanea del cuneo fiscale di 3,5 miliardi di euro del primo maggio è quella riduzione delle tasse bestiale che non si era mai vista da decenni? Certamente no, e la Meloni, se non vuole accumulare ancora figuracce, dovrebbe farsi consigliare da qualcuno più esperto. Il fatto che lei non sia minimamente preparata sulle materie economiche non è un attenuante per le sciocchezze che dispensa, ma anzi un aggravante se vuole essere un vero statista. Lei ci mette la faccia e fa le misere figure, qualcun altro, in genere Confindustria e potentati vari, si portano a casa il gradito bottino.

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