La saga governativa del superbonus edilizio, per molte imprese e famiglie diventata un vero dramma, si arricchisce di un altro, e probabilmente, ultimo capitolo scritto dai tecnici dell’Ufficio parlamentare di Bilancio. Vediamo i capitoli precedenti, anche se non tutti con riguardo principalmente alla sua sostenibilità fiscale. Andando per ordine, per prima si è sbilanciata Nomisma che a luglio 2022, in uno studio molto ripreso dalla stampa, affermava che il bonus del 110% si sarebbe tranquillamente autofinanziato generando un giro d’affari triplo. Poi l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) sempre a luglio, in un corposo dossier ha argomentato che a fronte di una spesa accertata di 38 miliardi, l’onere effettivo per le casse pubbliche era molto più basso, 6,6 miliardi in ragione delle entrate generate.

Poi gli studiosi di Open Economics e la Luiss Business School sono arrivati attraverso un modello computazionale a conclusioni simili a quelle di Nomisma. Più recentemente è toccato all’Ordine dei Commercialisti dire la sua su questo punto con una stima di un costo per lo Stato pari al 43% della spesa effettuata dalle imprese. Questo sul versante degli studiosi e degli esperti. Da parte del governo, invece, si è completamente dimenticato l’effetto positivo sull’economia e Giorgia Meloni a novembre, per giustificare un primo stop, parlava di un buco di bilancio di 38 miliardi diventati a febbraio 110 nella voce roca e grave del ministro Giancarlo Giorgetti.

Nel frattempo l’Istat ha messo in ordine i conti e non ha certificato alcun buco di bilancio, ma solo minori entrate da spalmare in più anni, come previsto. Su questa questione è intervenuto di recente, e probabilmente in via definitiva, anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio con una dettagliatissima analisi degli effetti sull’economia e sulle finanze pubbliche dei molti bonus e soprattutto del protagonista indiscusso di questa fase della politica economica, il superbonus edilizio.

Il problema nasce, se vogliamo, dall’estremo successo di questa misura energetica, prima che edilizia, pensata dal deputato trentino Riccardo Fraccaro. La spesa iniziale prevista, e quindi il mancato incasso per lo Stato, era di 30 miliardi. Siamo arrivati, prima del colpo di spada di Giorgetti, a 110 miliardi, tre volte tanto. Ma questa somma così ingente è vero debito come pensa il ministro? A favore di chi? E soprattutto chi lo pagherà? La relazione dell’Upb scopre le carte e rivela il comportamento ingannevole del governo che sta raccontando una storia scarsamente credibile e, come vedremo, finalizzata ad altri scopi rispetto al risanamento delle finanze pubbliche.

Partiamo dal bersaglio grosso: i famosi 110 miliardi di buco. Effettivamente sono le somme contabilizzate fino a oggi delle spese asseverate, ma sono riferite ai tre anni di applicazione. Secondo la relazione dell’Upb nel 2021 la media mensile, ma per pochi mesi, degli interventi è stata di 2 miliardi, nel primo semestre del 2022 di 3 miliardi e nel secondo di 4,5 miliardi. La domanda che ci interessa, e che ha agitato i sonni del ministro, è la seguente: le conseguenze per le casse pubbliche sarebbero state così disastrose per il 2023 anche dopo la mini-stretta Draghi? La relazione dell’Ufficio Parlamentare ci consente di dare una risposta ragionevole e molto diversa dal panico governativo. Facciamo alcuni calcoli.

In primo luogo c’è da osservare che il problema era già stato affrontato e risolto prudentemente da Mario Draghi riducendo la percentuale di sconto per il 2023 al 90% e poi a scalare negli anni successivi. Quindi, se anche prendiamo le stime più elevate della seconda parte del 2022, la spesa mensile sarebbe stata non del 110% ma del 90%, cioè di circa 4 miliardi di oneri per lo Stato, con un risparmio già acquisito di un miliardo al mese. Poi, c’è da ipotizzare che a fronte della diminuita convenienza alcuni interventi condominiali sarebbero stati annullati. Quantifichiamo in un 20% questa ipotetica riduzione. Quindi, il mancato incasso per lo Stato si ridurrebbe a 3,2 miliardi mensili dai 4,5 di partenza.

Da ultimo, si può ipotizzare che l’intervento in parte si ripaghi. Facendo una media dei risultati dei vari studi consideriamo un effetto Laffer, cioè di autofinanziamento dello sconto fiscale del 50%. La spesa a carico dello Stato scenderebbe quindi a 1,6 miliardi al mese. Se ora moltiplichiamo per 12, l’effetto annuale sulle casse dello stato per il 2023 sarebbe di circa 20 miliardi e, guarda caso, è esattamente l’extra deficit chiesto da Giorgetti alle Camere con la finanziaria per il 2023.

Qual è la conclusione di questa aritmetica della finanza pubblica, non così ardita poi, e che la relazione dell’Upb rende particolarmente cristallina? Il buco di bilancio della coppia Meloni-Giorgetti non esiste e fa parte del loro repertorio politico. Un comportamento più responsabile da parte del responsabile della terza più indebitata economia al mondo sarebbe stato auspicabile, anche in nome di un sano patriottismo.

Ma almeno l’effetto finale è positivo? In altri termini dobbiamo essere grati a Giorgetti per avere disinnescato un meccanismo che molti, sottoscritto compreso, consideravano poco equo e in fondo non così utile nemmeno per l’edilizia? In teoria sì, ma in pratica no. Pare infatti che i 20 e più miliardi scippati malamente alle famiglie e alle imprese non saranno destinati a ridurre il debito pubblico, ma serviranno per alimentare altre droghe fiscali, per usare l’espressione forte del ministro usata a proposito del superbonus, evidentemente più gradite alla destra. Alcune le abbiamo già viste e costeranno all’erario parecchi miliardi nei prossimi anni. Sono le flat tax per gli autonomi facoltosi. Altre sono in cantiere.

La riforma dell’Irpef che il viceministro Maurizio Leo porterà, pare presto, al Consiglio del ministri con la ventilata riduzione delle aliquote più elevate significa solo che la destra sta alzando il tiro nella sua perpetua guerra alle tasse. Se Draghi ha operato una riduzione delle aliquote dell’Irpef a debito per 6 miliardi, la destra sarà capace di farne un’altra con valori molto più consistenti, sempre a debito. Al confronto, il superbonus è una droga leggera e utile almeno per la transizione ecologica. La riforma preannunciata dell’Irpef per avvantaggiare i ricchi rischia di essere invece una droga pesante che l’economia, ma soprattutto la società, non potrà sopportare. Ridurre ancora le tasse ai ricchi non è la strada per un fisco semplice ed equo e non solo per i progressisti.

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