Un nuovo appello per la pace in Ucraina. Al Regina Caeli, subito dopo la messa presieduta nella piazza Kosuth Lajos di Budapest, nell’ultimo giorno del suo viaggio in Ungheria, Papa Francesco ha recitato una preghiera mariana per la fine della guerra: “Da questa grande città e da questo nobile Paese vorrei riporre nel suo cuore la fede e il futuro dell’intero continente europeo, a cui ho pensato in questi giorni, e in modo particolare la causa della pace. Santa Vergine, guarda ai popoli che più soffrono. Guarda soprattutto al vicino martoriato popolo ucraino e al popolo russo, a te consacrati. Tu sei la regina della pace, infondi nei cuori degli uomini e dei responsabili delle nazioni il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri”.

Bergoglio, inoltre, ha voluto esprimere la sua gratitudine all’Ungheria “perché in questo Paese confessioni e religioni diverse si incontrano e si sostengono a vicenda. Il cardinale Erdő ha detto che qui si vive ‘al confine orientale della cristianità occidentale da mille anni’. È bello che i confini non rappresentino frontiere che separano, ma zone di contatto; e che i credenti in Cristo mettano al primo posto la carità che unisce e non le differenze storiche, culturali e religiose che dividono. Ci accomuna il Vangelo ed è tornando lì, alle sorgenti, che il cammino tra i cristiani proseguirà secondo la volontà di Gesù, buon pastore che ci vuole uniti in un solo gregge”.

Alla messa era presente anche Hilarion, dal giugno 2022 metropolita ortodosso russo di Budapest e dell’Ungheria, ma precedentemente presidente del Dipartimento degli affari esterni del Patriarcato di Mosca. Con lui, nel suo secondo giorno nel Paese, il Papa ha avuto un incontro di venti minuti definito “cordiale” dal Vaticano. “È triste e fa male – ha affermato Francesco nell’omelia – vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno; le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante, povero. E perfino le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi ‘non è in regola’, chiuse verso chi anela al perdono di Dio. Fratelli e sorelle, per favore, per favore: apriamo le porte! Cerchiamo di essere anche noi – con le parole, i gesti, le attività quotidiane – come Gesù: una porta aperta, una porta che non viene mai sbattuta in faccia a nessuno, una porta che permette a tutti di entrare a sperimentare la bellezza dell’amore e del perdono del Signore”.

“Ripeto questo – ha aggiunto il Papa – soprattutto a me stesso, ai fratelli vescovi e sacerdoti: a noi pastori. Perché il pastore, dice Gesù, non è un brigante o un ladro; non approfitta, cioè, del suo ruolo, non opprime il gregge che gli è affidato, non ‘ruba’ lo spazio ai fratelli laici, non esercita un’autorità rigida. Fratelli, incoraggiamoci ad essere porte sempre più aperte: ‘facilitatori’ della grazia di Dio, esperti di vicinanza, disposti a offrire la vita, così come Gesù Cristo, nostro Signore e nostro tutto, ci insegna a braccia aperte dalla cattedra della croce e ci mostra ogni volta sull’altare, pane vivo spezzato per noi. Lo dico anche ai fratelli e alle sorelle laici, ai catechisti, agli operatori pastorali, a chi ha responsabilità politiche e sociali, a coloro che semplicemente portano avanti la loro vita quotidiana, talvolta con fatica: siate porte aperte! Lasciamo entrare nel cuore – ha concluso Francesco – il Signore della vita, la sua Parola che consola e guarisce, per poi uscire fuori ed essere noi stessi porte aperte nella società. Essere aperti e inclusivi gli uni verso gli altri, per aiutare l’Ungheria a crescere nella fraternità, via della pace”.

Twitter: @FrancescoGrana

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