“Grazie per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina”. Papa Francesco ha voluto ringraziare il popolo ungherese per la generosa accoglienza a milioni di ucraini fuggiti dalla guerra. A Budapest, nel secondo giorno del suo viaggio apostolico nel Paese, Bergoglio ha incontrato i poveri e i rifugiati nella Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria. Al suo arrivo nel Paese, il Papa aveva ricordato alle autorità ungheresi le parole pronunciate da Robert Schuman nel 1950: “‘La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano’. In questa fase storica – aveva aggiunto il Pontefice – i pericoli sono tanti oggi; ma, mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?”. Significativo in questa direzione l’incontro a porte chiuse di venti minuti, definito “cordiale” dal Vaticano, tra Bergoglio e Hilarion, dal giugno 2022 metropolita ortodosso russo di Budapest e dell’Ungheria, ma precedentemente presidente del Dipartimento degli affari esterni del Patriarcato di Mosca.

Parlando ai poveri e ai rifugiati, Francesco ha sottolineato che “i poveri e i bisognosi – non dimentichiamolo mai – sono al cuore del Vangelo: Gesù, infatti, è venuto, ‘a portare ai poveri il lieto annuncio’. Essi, allora, ci indicano una sfida appassionante, perché la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di ‘egoismo spirituale’, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione. Vera fede, invece, è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità. Come afferma san Paolo, possiamo parlare tante lingue, possedere sapienza e ricchezze, ma se non abbiamo la carità non abbiamo niente e non siamo niente”. E ha aggiunto: “Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Compassione che vuol dire ‘patire con’. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono. E a questo proposito esprimo la mia gratitudine alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità”.

Ricordando chi intraprende un “‘viaggio verso il futuro’, un futuro diverso, lontano dagli orrori della guerra”, il Papa ha affermato che “il ricordo dell’amore ricevuto riaccende la speranza, incoraggia a intraprendere nuovi percorsi di vita. Anche nel dolore e nella sofferenza, infatti, si ritrova il coraggio di andare avanti quando si è ricevuto il balsamo dell’amore: e questa è la forza che aiuta a credere che non è tutto perduto e che un futuro diverso è possibile. L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza – è una peste l’indifferenza! – e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa. Tante persone, purtroppo, anche qui, sono letteralmente senza casa: molte sorelle e fratelli segnati dalla fragilità – soli, con vari disagi fisici e mentali, distrutti dal veleno della droga, usciti di prigione o abbandonati perché anziani – sono colpiti da gravi forme di povertà materiale, culturale e spirituale, e non hanno un tetto e una casa da abitare”.

Una testimonianza che, ha sottolineato Bergoglio, “vale per tutta la Chiesa: non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone! La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità. Fare la carità significa avere il coraggio di guardare negli occhi. Tu non puoi aiutare un altro guardando da un’altra parte. Per fare la carità ci vuole il coraggio di toccare: tu non puoi buttare l’elemosina a distanza senza toccare. Toccare e guardare. E così tu toccando e guardando incominci un cammino, un cammino con quella persona bisognosa, che ti farà capire quanto bisognoso, quanto bisognosa sei tu dello sguardo e della mano del Signore. Fratelli e sorelle, vi incoraggio a parlare sempre il linguaggio della carità”.

Al clero ungherese, nella Concattedrale di Santo Stefano, Francesco ha ricordato che “l’impegno ad entrare in dialogo con le situazioni di oggi chiede alla comunità cristiana di essere presente e testimoniante, di saper ascoltare le domande e le sfide senza paura o rigidità. E questo non è facile nella situazione attuale, perché non mancano anche all’interno delle fatiche. In particolare, vorrei sottolineare il sovraccarico di lavoro per i sacerdoti. Da un lato, infatti, le esigenze della vita parrocchiale e pastorale sono numerose ma, dall’altro, le vocazioni calano e i preti sono pochi, spesso avanti negli anni e con qualche segno di stanchezza. Questa è una condizione comune a molte realtà europee, rispetto alla quale è importante che tutti – pastori e laici – si sentano corresponsabili: anzitutto nella preghiera, perché le risposte vengono dal Signore e non dal mondo, dal tabernacolo e non dal computer”.

Twitter: @FrancescoGrana

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