Il riavvicinamento e gli ammiccamenti tra il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni e le monarchie del Golfo era diventato palese già a febbraio, con i colloqui tra l’esecutivo e il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Negli stessi giorni, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, volava negli Emirati, trasferta replicata due settimane dopo anche dalla premier. Oggi il Consiglio dei ministri sancisce ufficialmente, mettendolo nero su bianco, la fine dell’opposizione italiana, voluta dal governo Conte 2, alla vendita di armi agli Emirati Arabi Uniti. Una decisione che non modifica nella sostanza la situazione attuale, ma che lancia un messaggio chiaro ad Abu Dhabi, come precisa a Ilfattoquotidiano.it Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo: “Già il governo Draghi aveva di fatto dato il via libera all’export, mantenendo lo stop per le commesse già bloccate che, però, riguardavano ormai solo l’Arabia Saudita. Con questa mossa, l’esecutivo Meloni sta di fatto lanciando un messaggio politico all’emirato del Golfo. Sta dicendo loro che, per quanto riguarda l’export di armamenti, vengono considerati al pari di Paesi come la Svizzera“.

La notizia è stata diffusa da un comunicato di Palazzo Chigi: “Dopo aver ascoltato una dettagliata relazione del ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, (il Cdm, ndr) ha dato attuazione a quanto stabilito dal precedente governo e dunque attesta che l’esportazione di materiale d’armamento negli Emirati Arabi Uniti non ricade più tra i divieti stabiliti dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185“.

Bisogna quindi tornare al Consiglio dei ministri del 5 agosto 2021, quando la Farnesina era ancora guidata dal ministro degli Esteri del governo Draghi, Luigi Di Maio. L’esecutivo Conte si era dissolto da pochi mesi e la nuova formazione alla guida del Paese già si apprestava a cambiare postura riguardo alle relazioni con l’emirato del Golfo: in quell’occasione, continua la nota di Palazzo Chigi, “il Consiglio dei ministri ha avuto conferma dall’allora ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, d’intesa con il Parlamento, dopo un’indagine conoscitiva della commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, del fatto che l’impegno militare degli Emirati Arabi Uniti in Yemen era cessato. In seguito, lo scenario ha continuato a evolversi positivamente. Da aprile 2022 le attività militari in Yemen sono rallentate e circoscritte e l’attività diplomatica ha avuto una importante accelerazione”. La nota si conclude poi elogiando gli sforzi di Abu Dhabi che “tra il 2015 e il 2021 ha stanziato 5,5 miliardi di euro per la stabilizzazione e ricostruzione dello Yemen, impegno che è continuato nel 2022 con 500 milioni di euro e ancora nel novembre scorso, con Fondo monetario internazionale e Arab Monetary Fund, con un impegno di 1,5 miliardi di dollari in tre anni”.

Il contesto del conflitto in Yemen è in effetti mutato rispetto al gennaio 2021, quando il governo giallorosso decise di bloccare la maxi commessa voluta dal governo Renzi: circa 20mila ordigni per un controvalore di 411 milioni di euro, con la firma dell’accordo avvenuta nel 2016. Lo stop ordinato dall’esecutivo Conte 2, però, ha impedito l’invio di 12.700 ordigni fabbricati dalla Rwm Italia in Sardegna e che la coalizione a guida saudita stava usando in maniera indiscriminata in Yemen, colpendo anche la popolazione civile. Un provvedimento che provocherà uno scossone diplomatico proprio con Abu Dhabi, come testimonia la ritorsione dell’emirato che a inizio 2021 non concesse l’uso del proprio spazio aereo al volo con a bordo l’allora ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, diretto in Afghanistan per la cerimonia dell’ammainabandiera, costringendolo a uno stop di emergenza proprio in Arabia Saudita. Pochi mesi dopo, sempre gli Emirati annunciarono la volontà di chiudere la base italiana di al-Minhad. Anche per questo, appena un mese dopo l’insediamento di Mario Draghi, la Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) decise di non ritenere più necessaria la clausola end-user certificate rafforzata per l’export di armi verso Arabia Saudita ed Emirati. Questa consisteva in un impegno di Riyad e Abu Dhabi a non usare le armi acquistate dall’Italia nel conflitto in Yemen. Da quel momento in poi, ogni commessa autorizzata da Roma, tranne quelle riguardanti bombe e missili già bloccate, poteva tornare a fornire mezzi per la guerra in corso nella Penisola Arabica.

Oggi, nel Paese del Golfo martoriato da 9 anni di guerra, dalla carestia e dalle conseguenze della pandemia, la situazione sembra, come si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, destinata a migliorare. I colloqui per un cessate il fuoco permanente vanno avanti e il processo di distensione in atto in tutto il Medio Oriente, con le due potenze coinvolte, l’Arabia Saudita da una parte e l’Iran (che sosteneva i ribelli Houthi) dall’altra, che hanno ripreso le relazioni diplomatiche dopo 7 anni grazie alla mediazione della Cina, mostra progressi col passare delle settimane. “Ma la velocità con la quale si ribadisce questa decisione dimostra qual è la reale posizione del governo italiano sulla vendita di armi a certi Paesi – continua Vignarca – Appena si è arrivati a un cessate il fuoco ci siamo affrettati a sottolineare lo stop ad ogni divieto. Ma se i due Paesi, tra qualche mese, tornassero a bombardare lo Yemen cosa faremmo? Secondo questa logica, nel caso in cui Putin accettasse di sedersi a un tavolo con Zelensky dal giorno dopo potremmo iniziare di nuovo a vendergli armi. Senza dimenticare che Abu Dhabi, da quanto mi risulta, occupa ancora l’isola yemenita di Socotra, strategica per l’accesso al Canale di Suez“.

Ciò che la nota del governo sostiene è anche che “l’esportazione di materiale d’armamento negli Emirati Arabi Uniti non ricade più tra i divieti stabiliti dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185”. In realtà, proprio il comma 6, al punto ‘d’, spiega che le esportazioni sono vietate “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa“. Proprio il Parlamento europeo, poco più di un anno fa, aveva condannato “fermamente la detenzione di Ahmed Mansoor e di tutti gli altri difensori dei diritti umani”. Una situazione, quella degli attivisti, di cui si parla poco ma che rimane critica nell’emirato del Golfo, con persone detenute senza giusto processo in condizioni che non rispettano gli standard imposti dalle convenzioni internazionali. E questo, secondo la legge 185/90, è un motivo sufficiente a impedire le esportazioni di armi verso Abu Dhabi.

Twitter: @GianniRosini

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