Nessuna risposta. Laura Bonafede fa scena muta di fronte al gip Alfonso Montalto. Durante l’interrogatorio di garanzia la donna si è avvalsa della facoltà di non rispondere. È accusata di avere favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Secondo la procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, Bonafede non era un’amante qualunque, una delle tanti donne rimaste vittime del fascino del boss, ma quella con cui ha avuto il rapporto più duraturo, con cui aveva convissuto: “Eravamo una famiglia”, scriveva il boss nello scambio epistolare che aveva intrattenuto con la donna fino al suo arresto lo scorso 16 gennaio. Con lei si era pure visto due giorni prima, un appuntamento stabilito alle 11 di ogni sabato alla Coop di Campobello di Mazara, di fronte all’”Affetta Formaggi”. Una donna che oltre essere l’amante dell’ormai ex latitante è figlia di un altro boss, Nardo Bonafede, e moglie di Salvatore Gentile che in carcere deve scontare due ergastoli per omicidi commessi su ordine di Messina Denaro. Una vita vissuta in un contesto mafioso “e non v’è dubbio che ne hanno (lei e la figlia Martina, ndr) recepito integralmente cultura, modi di vivere, regole, nonché una autentica venerazione verso la famiglia Messina Denaro e in particolare verso l’enfant prodige Matteo”, scrive il giudice Montalto nell’ordinanza con la quale dispone l’arresto della donna.

Questo il profilo di una maestra elementare: dal 2003, prima con supplenze e poi subentrata di ruolo, Laura Bonafede ha insegnato fino alla sospensione disposta dal provveditore agli studi siciliano, Giuseppe Pierro, già prima dell’arresto quando diventa nota l’indagine a suo carico emersa dagli arresti della coppia di vivandieri di U Siccu. Ma Bonafede era anche un’imprenditrice, aveva una ditta individuale che le è stata confiscata salvo ottenere poi la revoca. Una ditta di allevamenti di bovini e caprini, iscritta a suo nome nel 2001 grazie anche ai fondi stanziati in suo favore della Regione. Un allevamento per il quale assumeva fino a 131 lavoratori stagionali. Questo è, infatti, quanto dichiara lei per chiedere la revoca della confisca dell’azienda e dei conti bancari. Una confisca che le aveva inflitto il tribunale di Trapani il 12 aprile del 2011 su richiesta della procura di Palermo. In appello però, i giudici hanno dato ragione all’insegnante. I proventi con cui aveva avviato l’allevamento erano leciti, provenivano dalla vendita del terreno del marito, pure lui era, infatti, un imprenditore: vendeva olive. Ma il marito è in carcere dal 1996. Così Laura ha venduto il terreno ricavandone 43.251 euro. Lei però aveva altre risorse, una, importante, era quella di 247mila euro – riportano i giudici – ricavata come risarcimento di un grave incidente avvenuto ben 15 anni prima, nel 1986. Il risarcimento, la vendita del terreno che aveva avuto fondi europei e poi quelli regionali ricevuti da lei: Laura Bonafede aveva dato vita alla sua impresa con fondi leciti. Così come rivela il decreto con il quale la corte d’appello di Palermo revoca la confisca, dando ragione a Laura Bonafede, il marito aveva, infatti, avuto fondi dall’Agea, l’agenzia per l’erogazione di fondi europei nell’agricoltura, mentre lei aveva ricevuto altri proventi per la sua attività da parte dell’assessorato agricoltura e foreste della Regione Sicilia. Cifre tutte “sufficienti per consentirle di iniziare l’attività d’impresa”, come si legge nel decreto di revoca, firmato dal presidente del collegio, Antonio Caputo. I proventi erano leciti, per questo i giudici revocano la confisca. Una confisca inflittale dal tribunale di Trapani perché considerata prestanome del padre, Nardo, che nel frattempo dal 2001 al 2006 era in carcere. I proventi leciti, il padre in carcere, lei aiutata da 131 lavoratori stagionali e da un collaboratore, quindi attività che si sposava con quella di insegnante. Per questo i giudici di secondo grado si esprimono in favore di Laura Bonafede, nel 2012. La confisca finirà ufficialmente nel 2014, quando cesserà il ruolo dell’amministratore giudiziario e l’azienda tornerà in possesso della maestra che però ne chiederà la cancellazione nel settembre del 2021, in era, quindi, post-covid.

Nel frattempo Laura Bonafede è diventata insegnante di ruolo ed è approdata all’istituto comprensivo Capuana – Pardo di Castelvetrano, a pochi chilometri da casa sua in via Roma. Qui è stata arrestata lo scorso 13 aprile. E anche le immagini dell’arresto dei Ros restituiscono un profilo complesso, non solo quello d’una maestra o di un’imprenditrice. Nella libreria dell’insegnante spicca, per esempio, il libro Protocollo Cremlino, la storia di una donna accusata dalla Commissione McCarthy di essere una spia russa. Una vita di intrighi e un destino dal quale tenterà di sfuggire confessando di essere stata l’amante di Stalin. Questo il personaggio letterario. Laura Bonafede, invece, di fronte ai giudici di Palermo, oggi, è rimasta in silenzio. Eppure potrebbe sapere molto, stando allo scambio epistolare intrattenuto col boss. Il 19 dicembre del 2022 scriveva a Messina Denaro: “Che Solimano tenesse tanto al denaro l’ho sempre capito, gli piace spendere e fare soldi facili ma mai avrei potuto pensare che arrivasse a tanto. Secondo me oltre al denaro è legato alla paura di quell’avvertimento che lui pensa di Uomo (nome in codice per il padre, Nardo Bonafede, ndr) ma che, in realtà, era di Depry (nome in codice per Messina Denaro, ndr). Io penso così e una volta me lo hai confermato pure tu. Quando dici che gliela farai pagare, che non ti fermi, ti posso dire che ne sono certo, ti conosco anche sotto questo aspetto. Non ti nego che mi sarebbe piaciuto che avessi fatto “due piccioni con una fava”; Solimano e Pancione. Ma Pancione ci sta pensando da solo, mangia come un porco, nemmeno può camminare più”. Non solo parole di amore o di gelosia, quindi, quelle della maestra elementare con la passione per l’allevamento, che a leggere questo pizzino sembra sapere molto degli “avvertimenti”, e sembra conoscere il boss “anche sotto questo aspetto”.

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