Non solo flussi migratori, questioni geopolitiche, interessi energetici, violazioni dei diritti individuali: la Libia ha bisogno dell’attenzione – e dell’aiuto – del mondo anche per la tutela della storia dell’evoluzione della civiltà umana. Secondo un nuovo studio, infatti, pubblicato su PLOS ONE e firmato da Kieran Westley e Julia Nikolaus dell’Università dell’Ulster, Regno Unito e dai loro colleghi, diversi siti archeologici lungo la costa libica rischiano di essere danneggiati o addirittura persi per sempre a causa della crescente erosione costiera.

La costa cirenaica della Libia orientale, che si estende dal Golfo della Sirte all’attuale confine tra Egitto e Libia, ha una lunga storia di presenza umana che risale al Paleolitico, e ospita quindi numerosi siti archeologici importanti e spesso poco studiati. Tuttavia, sta anche subendo alti tassi di erosione che minacciano di danneggiare o addirittura cancellare molti di questi importanti siti. “Prove raccolte lungo il Nord Africa – spiegano gli autori – suggeriscono che l’erosione costiera non è un fenomeno isolato e che i fattori che la determinano sono antropici. In certe aree, in particolare, il fattore più rilevante è la raccolta di sabbia utilizzata per l’industria edile”.

Il nuovo studio si è servito di documenti storici e di raccolta di dati sul campo, come immagini aeree e satellitari, per valutare i modelli di erosione vicino a importanti siti archeologici, quali quelli di Apollonia, Ptolemais e Tocra, portando all’identificazione di significativi rischi per il patrimonio storico. Rischi che – spiegano gli autori – aumenteranno con il cambiamento climatico e il previsto innalzamento dei mari, tanto da far temere che alcuni siti siano già ora da considerarsi perduti. Questo non vuol dire però che non si debba far nulla: “Piuttosto – aggiungono gli autori questa consapevolezza impone di dar corso a indagini dettagliate, ricerche e documentazioni dei patrimoni archeologici presenti nelle aree che andranno perse per sempre in mare nei prossimi decenni”. In più in alcuni casi si è ancora in tempo per rimediare.

Per farlo i ricercatori suggeriscono di utilizzare un approccio che valuti con attenzione la situazione caso per caso, utilizzando opere di protezione, come dighe o altro, solo quando si sia sicuri che le stesse non possano a loro volta essere causa di danni, data la natura dei terreni coinvolti, e concentrando le limitate risorse sui siti e sui patrimoni di maggior importanza. Una selezione – quest’ultima – che ovviamente rischia di sollevare conflitti ed è per questo che gli autori dello studio sottolineano l’importanza per questa scelta, come per le altre legate alla tutela, del coinvolgimento delle autorità e dei ricercatori locali. “La nostra ricerca evidenzia la necessità fondamentale di supportare i nostri colleghi libici nel mitigare i danni a questi siti del patrimonio in via di estinzione e insostituibili”.

di Gianmarco Pondrano Altavilla

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