Si trattava di assumere rapidamente i profili necessari a realizzare i progetti del Pnrr. Questo si proponeva il Decreto reclutamento Pubblica amministrazione del 2021, che prometteva “concorsi rapidi e digitali per assumere entro 100 giorni dalle selezioni i tecnici con contratti a tempo determinato, procedure trasparenti e rigorose per gli incarichi ai professionisti”, e addirittura “corsie dedicate alle figure ad alta specializzazione”. Com’è andata a finire? Che di decreto ne serve un altro, quello varato a febbraio dal governo e appena emendato dalla commissione Bilancio al Senato. Per riparare, tra l’altro, ai ritardi nelle assunzioni, troppo spesso andate a vuoto perché l’occasione, rivela l’esito di tanti concorsi, non è poi così ghiotta, a partire dagli stipendi coi quali in molte zone d’Italia non si campa. E allora via al decreto tampone che arruolerà anche lavoratori in somministrazione attraverso le agenzie del lavoro. Insomma, quelli che una volta chiamavamo interinali. Proprio così, il Pnrr doveva essere l’occasione per sanare almeno in parte una Pubblica amministrazione dove l’età media è di 50 anni e nel 2026, traguardo del Pnrr, saranno andati in pensione altri 300mila dipendenti pubblici. Invece le cose hanno preso un’altra piega, col Piano di ripresa e resilienza che adesso darà il viatico ad altro precariato, lo stesso che in questi anni ha contribuito a sostituire geneticamente il pubblico impiego. Ma c’è anche una buona notizia: sarà un buco nell’acqua. Perché, spiega Florindo Oliverio della segreteria nazionale Funzione Pubblica Cgil, “il problema oggi è proprio quello di trattenere i nuovi assunti, e non è certo con uno strumento che offre minori prospettive che eviteremo diserzioni e rinunce”.

Assolavoro, una delle associazioni nazionali delle agenzie per il lavoro, plaude alla trovata ed esprime “apprezzamento per l’approvazione della commissione Bilancio del Senato di due emendamenti che consentono – nell’ambito dell’attuazione dei progetti del Pnrr – il “reclutamento di personale da parte delle Pp.aa. anche attraverso il contratto di lavoro a scopo di somministrazione”. Il lavoro in somministrazione, nato nel 2004 come sostituto del lavoro interinale introdotto nel 1997 dal Pacchetto Treu, si è diffuso toccando nel 2018 le 500 mila persone. Nel pubblico impiego il fenomeno è contenuto perché la Pa dovrebbe assumere solo in caso di improvvise necessità, rigorosamente temporanee. Secondo la Nidil, il sindacato della Cgil dei lavoratori atipici, si tratta più spesso di risposte “a situazioni emergenziali derivanti da assenza o incapacità di programmazione“. Ecco il punto: il ricorso a lavoratori sotto contratto con un’agenzia del lavoro, che somministra o “presta” il dipendente all’ente pubblico, è sempre più “ordinario” perché strutturale è la carenza d’organico. “Così nel ministero della Giustizia, ad esempio, il personale assunto per il Pnrr è stato utilizzato con altre mansioni finendo per sostituire nelle cancellerie il personale andato in pensione da 5 o 10 anni e mai rimpiazzato”, spiega Oliverio della FP Cgil, che ha elaborato un piano pluriennale di assunzioni da 1,2 milioni di posti per coprire sia il turnover al 2030, pari a 700 mila uscite per pensionamenti esclusi i comparti Istruzione e Ricerca, sia i fabbisogni reali di personale”.

Visto che i progetti del Pnrr dovranno essere completati entro e non oltre il 2026, anche le assunzioni legate al Piano sono a termine. O almeno quelle che lo Stato è riuscito a portare a casa. Perché molti concorsi non sono riusciti a coprire i posti messi a bando, con vincitori che hanno rinunciato perché ne hanno vinti altri, magari a tempo indeterminato, e questo soprattutto tra i profili più elevati. O perché c’è chi abbandona il posto dopo uno o due mesi a causa del costo della vita e degli affitti in particolare. Insomma, l’idea dello Stato di reclutare giovani brillanti e competenti perché implementassero il Pnrr con contratti a termine da 1.500 euro non ha funzionato. “E adesso pensiamo di sostituire i tempi determinati che non riusciamo a trattenere con la somministrazione? Così non si risolve nulla, anzi, ci costerà di più visto che i lavoratori hanno diritto allo stesso trattamento dei dipendenti dell’ente pubblico ma va aggiunto il margine, un 10% per l’agenzia del lavoro”, spiega Oliverio. Sempre che ad aggiudicarsi gli appalti siano agenzie che non vincono grazie al massimo ribasso dell’offerta, “come quelle che nella Sanità si propongono con un margine dello 0,1%, che è irrealistico e chiaramente si tratta poi di rifarsi sui lavoratori”, avverte citando quanto accade nella Sanità pubblica Daniel Zanda, segretario della FeLSA, la federazione lavoratori somministrati atipici e autonomi della Cisl. “Dove li prendi i soldi per i dipendenti della tua agenzia? Magari una festività non la paghi, magari una maggiorazione cerchi di non corrisponderla, eccetera”.

Ma anche quando le cose vanno bene c’è un problema di prospettiva, carente nel caso dei contratti a tempo determinato – una delle ragioni di rinuncia o abbandono del pubblico impiego è proprio la scarsa trasparenza dei percorsi di carriera – ma del tutto assente nel caso della somministrazione di lavoro. “Perché i lavoratori a termine entrano attraverso concorso e se le piante organiche lo necessitano per loro si apre la possibilità di una stabilizzazione”, spiega Davide Franceschin, segretario nazionale Nidil Cgil. “Al contrario, i somministrati li seleziona l’agenzia per il lavoro e la loro esperienza nella Pa, a volte pluriennale, non gli dà alcun diritto e quindi nessuna prospettiva di stabilizzazione”. Ecco perché questa del governo è un’illusione. “Per dare continuità occupazionale a questi lavoratori e per non disperdere esperienza e formazione sulla quale lo Stato ha investito, da anni chiediamo che nei concorsi ci sia una quota di riserva per i somministrati. Ma ad oggi nessun governo l’ha fatto”, spiega Franceschin. Al contrario, si prendono somministrati, si investe per formarli e alla fine si lasciano a casa anche se il loro apporto è diventato necessario in modo strutturale. Come nel caso del ministero dell’Interno che tre anni fa ha attivato 1.400 persone presso Prefetture e Questure e nonostante l’esigenza non sia venuta meno li ha lasciati scadere senza prevedere la continuità e mettendo in crisi il servizi come le pratiche per l’emersione dal lavoro irregolare o per i decreti flussi, dove lo Stato accumula arretrati su arretrati. “Cortocircuito? Secondo me è una precisa scelta politica – chiude Franceschin -, quella di svilire il servizio pubblico e ridurne la capacità e l’efficacia perché la domanda si sposti altrove”.

“Abbiamo suggerito di scorrere tutte le graduatorie dei concorsi così da poter assumere subito e non solo in funzione del Pnrr, così da colmare le carenze strutturali e da permettere a quanti assumiamo per il Pnrr di dedicarsi veramente a questo”, spiega Oliverio della FP Cgil. “Ma si deve intervenire per rendere sostenibile il lavoro nella Pubblica amministrazione: stabiliamo degli incentivi, mettiamo a disposizione gli alloggi inutilizzati degli enti pubblici, le mense, perché in città come Milano o Torino la gente non scappi dopo un solo mese di lavoro, come invece accade”, continua. Inoltre, per il decreto in procinto di essere varato, “chiediamo provvedimenti che lascino intravvedere una speranza per la stabilizzazione di questi nuovi assunti: si parla di stabilizzazioni per gli enti locali, mentre a livello centrale non si vedono nemmeno le risorse”. L’urgenza di mettere in campo strategie per trattenere chi ha immaginato una carriera nella Pubblica amministrazione, aggiunge Oliverio, “è data anche dal fatto che le agenzie per il lavoro non hanno in pancia tutti profili che servono alla Pa, piuttosto profili standard. Ma i professionisti o i laureati con esperienze all’estero che hanno più opportunità e che magari i concorsi li vincono non li trovi con la somministrazione”. Oliverio riporta le proposte della Cgil: “Di fronte a stipendi non competitivi sia nei confronti del privato che dell’estero devi far ripartire le trattative e rinnovare i contratti”. Secondo: “Superare le troppe resistenze nelle amministazioni centrali e dare corso ai nuovi ordinamenti per la trasparenza nei percorsi di carriera”. Terzo: “Nonostante norme di legge e contrattuali, lo smartworking reste un tabù mentre potrebbe agevolare tante persone che invece rinunciano”.

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