C’è chi urla ogni domenica. Chi si atteggia a guru del pallone, chi perde e piange o magari vince senza però comunicare nulla. E poi c’è Maurizio Sarri, che con le sue tute trasandate e i modi grossolani semplicemente insegna calcio. Il sarrismo è vivo e lotta insieme a noi: la sua Lazio oggi – dopo l’impareggiabile Napoli ovviamente – è la miglior squadra d’Italia, la classifica non mente. Di più. Si potrebbe dire che la Lazio è la squadra che in Serie A sta facendo la stagione migliore in assoluto, se proporzionata ai mezzi a disposizione. Sul campo ha conquistato praticamente gli stessi punti della Juventus, che però ha in rosa un attaccante da 100 milioni come Vlahovic, i campioni del mondo Pogba e Di Maria, un monte ingaggi quasi triplo. Per il secondo anno di fila è davanti alla Roma dei Friedkin che spendono e spandono per Mourinho. Non citiamo nemmeno le milanesi che così rischiano di rimanere fuori dalle prime quattro.

Sarri invece sta facendo letteralmente le nozze con i fichi secchi. Anzi no, col bel gioco e con le idee. Ha trasformato in una squadra da Champions un organico costruito con scarti, parametri zero e qualche scommessa: il portiere dello Spezia, Hysaj e Vecino, riserve lasciate andare neanche troppo a malincuore da Napoli e Inter, Romagnoli che non aveva rinnovato con il Milan, e poi Casale e Zaccagni dal Verona, gli unici veri investimenti di Lotito, diventanti nelle mani del demiurgo rispettivamente la miglior difesa e il miglior marcatore italiano del campionato (a proposito, avvisate il ct Mancini). Con un solo fuoriclasse, Milinkovic, e per di più nella prima stagione storta di Immobile.

Ormai quasi alla fine del secondo anno, rivediamo a Roma tracce di quel Napoli che era stato la miglior proposta del calcio italiano degli ultimi vent’anni. Alla Lazio, Sarri è riuscito a ricreare in piccolo, con ovviamente meno talento, il suo giocattolino. La partita di ieri è stata una delle più belle quest’anno di questa mediocre Serie A, e non certo per merito della Juve di Allegri che l’aveva approcciata col solito copione del catenaccio e contropiede, e si è poi dovuta adeguare ai ritmi imposti dai biancocelesti. La Lazio l’ha vinta con merito, con un gol capolavoro che è anche un manifesto: la classe di Luis Alberto e Zaccagni, liberata dall’architettura di gioco della squadra. Il calcio di Sarri. Che così quest’anno è riuscita a battere anche tutte le altre big. Non è un caso.

A sette giornate dalla fine, la Lazio sembra aver ipotecato un posto in Champions: se anche dovesse sfumare resterebbe il rimpianto, non un fallimento, perché per questa squadra a differenza che per tutte le altre in corsa la qualificazione non è un obbligo, ma sarebbe un’impresa. Lotito, che è un vecchio volpone, lo aveva capito subito che perdendo Inzaghi e prendendo Sarri stava facendo un affare: perché è uno di quei pochi tecnici in grado di lasciare comunque un segno, nel bene e nel male. La Juventus non lo ha mai amato, ma dopo due anni di non gioco di Allegri (e nemmeno successi: l’ultimo scudetto lo ha conquistato proprio lui) forse un po’ lo rimpiange. Ha vinto anche al Chelsea, al suo primo e unico tentativo. Oggi diverte “solo” alla Lazio. La sua è una carriera un po’ da incompreso, un po’ da sottovalutato, anche ma non solo per essere arrivato tardi nel calcio dei grandi. Paga probabilmente i suoi modi, che fanno parte dei suoi tanti limiti. Senza un’eccessiva dose di dogmatismo che è croce e delizia del sarrismo, senza quell’ostinazione quasi donchisciottesca contro il turnover e il calcio moderno che lo rendono un allenatore da una partita a settimana in un calendario che ormai ne prevede tre, chissà dove sarebbe potuto arrivare. Ma non sarebbe Maurizio Sarri.

Twitter: @lVendemiale

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