Molte lacrime e molto sangue. Così si annuncia il piano di integrazione con Ubs per i dipendenti di Credit Suisse. Secondo il giornale elvetico SonntagsZeitung, che cita fonti interne ad UBS, i licenziamenti potrebbero colpire fino a 36mila addetti. Per lo più i tagli dovrebbero interessare i 50mila dipendenti di Credit Suisse, in via prioritaria rispetto ai 74mila addetti che conta oggi Ubs. Per la banca acquisita insomma, sarebbe a rischio almeno un posto su due. Solo in Svizzera, dove Credit Suisse impiega 16mila persone, verrebbero scarificati 11mila posti. I dipendenti italiani sono circa 300. La banca, in crisi irreversibile dopo un massiccio esodo di depositi, è stata acquisita lo scorso 19 marzo da Ubs per soli 3 miliardi di franchi lo scorso. L’acquirente si è assicurato anche il sostegno nell’operazione di banca centrale e governo svizzeri, disposto a coprire perdite derivanti dall’operazione fino a 100 miliardi. La scorsa settimana Ubs ha richiamato Sergio Ermotti alla guida del gruppo. L’ex amministratore delegato è stato ritenuto la persona più indicata per gestire il complesso processo di integrazione.

Come prevedibile intanto la procura svizzera ha aperto oggi un’inchiesta sulle modalità con cui è stata condotta termini dell’operazione. All’attenzione di magistrati elvetici ci sono le potenziali violazioni del diritto penale svizzero da parte di funzionari governativi, regolatori e dirigenti delle due banche. In particolare ha fatto molto discutere la decisione di azzerare bond subordinati per 16 miliardi di franchi della banca in via prioritaria rispetto alle azione, salvaguardando così, almeno in una qualche misura, i grandi soci, a cominciare dalla Saudi National Bank, primo azionista con il 9,9%.

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