Addio trasparenza e concorrenza. Le deroghe alle gare introdotte al partire dal 2019 per “sbloccare i cantieri” e ulteriormente ampliate durante la pandemia non scadranno a fine giugno, come previsto, ma diventeranno strutturali. È uno dei pilastri del nuovo Codice degli appalti approvato martedì dal consiglio dei ministri. Una soluzione scelta dal Consiglio di Stato, che ha scritto il testo, ma resa ancora più dirompente dal governo Meloni che – su richiesta dell’Anci – ha deciso di consentire anche ai piccoli Comuni privi di competenze e personale di affidare in autonomia lavori fino a 500mila euro. La giustificazione, secondo la Lega, è che questo significherà “appalti più rapidi, con un risparmio di tempo”. Tesi ribadita dal ministro Matteo Salvini, che oltre ad attaccare l’Anac (colpevole di aver fatto notare che “è un favore ai malintenzionati“) rivendica che “si risparmierà almeno un anno nella fase dell’istruttoria della pratica”. Ma la tesi mostra le corde di fronte ai dati raccolti dalla stessa Autorità nazionale anticorruzione. Stando ai quali già oggi quasi l‘80% dei lavori passa per affidamenti diretti o procedure negoziate. Morale: di per sé il nuovo Codice non avrà alcun effetto, per esempio, sul recupero dei ritardi nella spesa dei fondi del Pnrr, per il quale peraltro ci sono fin dall’inizio norme ad hoc.

L’ultima relazione annuale dell’Anac, relativa al 2021, ha analizzato l’andamento dei contratti pubblici partendo dalla Banca Dati Nazionale gestita proprio dall’autorità. In quell’anno il valore complessivo degli appalti di importo pari o superiore a 40.000 euro si è attestato a 199,4 miliardi di euro – per fare un confronto si tratta del valore dell’intera quota della Recovery and resilience facility destinata all’Italia – di cui 86,1 per forniture, 70 per servizi e 43 per lavori. Più di metà (131mila) dei 213mila contratti complessivi è stata di importo inferiore alla soglia di 150mila euro, sotto la quale già dal 2020 si può procedere tramite affidamento diretto a un’impresa scelta discrezionalmente dalla stazione appaltante. Altri 61mila non hanno superato 1 milione di euro, caso in cui è già consentito ricorrere alla procedura negoziata senza bando invitando almeno 5 imprese a rotazione. Oltre 15mila, poi, si sono assestati tra 1 e 5 milioni, caso in cui se si tratta di lavori è sufficiente consultare almeno 10 operatori (per servizi e forniture solo 5). Prendendo in esame i soli contratti di lavori – i “cantieri” veri e propri – si scopre poi che ben il 98% dei contratti, per un valore di quasi 19 miliardi, ha riguardato opere di valore inferiore a 5 milioni, dunque sotto la soglia comunitaria.

Ma come hanno concretamente deciso di muoversi le stazioni appaltanti, di fronte alla chance di evitare le gare? L’hanno colta quasi nell’80% dei casi: “Con la procedura aperta sono state assegnate nel 2021 circa il 18,5% delle procedure totali”, scrive Anac, “mentre nel 37,1% e nel 37,6% dei casi (per un totale di ben il 75,7%) le stazioni appaltanti hanno utilizzato rispettivamente una procedura negoziata senza pubblicazione del bando e l’affidamento diretto”. Un altro 5,8% ha optato per la procedura ristretta (comunque una gara) e l‘1% per la procedura negoziata previa pubblicazione del bando.

Che cosa cambierà da luglio, con l’entrata in vigore del nuovo Codice? Poco. Fino ai 150mila euro l’affidamento diretto diventa regola, dai 150mila a 5,3 milioni la stazione appaltante potrà ancora scegliere la procedura negoziata. Le gare continueranno dunque a essere l’eccezione, esattamente come avviene già adesso. Le principali novità sono altre: il via libera al discusso appalto integrato, le liberalizzazione del subappalto a cascata e soprattutto la decisione di frenare ancora una volta l’avanzamento verso la qualificazione delle stazioni appaltanti, ancora oggi oltre 35mila, prevista dal 2016 e sempre rimasta lettera morta.

Questo è farina del sacco del governo Meloni, che ha modificato il testo del Consiglio di Stato fissando a 500mila euro la soglia sotto la quale le stazioni non qualificate (leggi i piccoli Comuni) continueranno a gestire appalti senza doversi rivolgere a enti con le competenze necessarie. Secondo il presidente Anac Giuseppe Busia il risultato è che “i lavori e gli acquisti si fanno male, si spende molto di più del necessario e si buttano soldi pubblici. Altrimenti le pubbliche amministrazioni soccombono nella contrattazione con i grandi gruppi privati”. Altro che velocizzazione.

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