Il consiglio dei ministri ha approvato martedì in via definitiva il nuovo Codice appalti, oltre a varare il decreto bollette e un disegno di legge che vieta “produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici”. Mentre sul ddl concorrenza (ancora quello per il 2022) è andata in scena una finta: l’esame è stato solo “avviato” per poi fermarsi lì causa problemi di coperture. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha disertato la conferenza stampa finale, ma la Lega ha diffuso una nota in cui oltre a battezzare “codice Salvini” il nuovo testo con le regole per l’affidamento dei contratti pubblici ne festeggia i contenuti: “Cantieri veloci, più autonomia, meno burocrazia per sindaci e aziende, premiate le imprese e i materiali italiani ed europei”. Il succo è che, a valle dell’iter parlamentare, il governo ha del tutto ignorato le richieste dell’autorità anticorruzione e pure quelle dei costruttori. Il presidente Anac Giuseppe Busia aveva infatti detto chiaramente di non condividere la possibilità per le stazioni appaltanti non qualificate di affidare lavori fino a 500mila euro: “È come permettere di guidare in città senza patente dove c’è il limite dei 50 km”, aveva avvertito. Oltre a bocciare gli affidamenti diretti sotto soglia, “la soppressione delle verifiche sul conflitto d’interessi” e “l’uso generalizzato dell’appalto integrato senza motivazioni. Tutti interventi puntualmente confermati nel nuovo testo.

Ignorate l’Anac e l’Ance – La nota del Carroccio omette ovviamente di spiegare la scelta di tirare dritto nonostante Busia abbia chiarito che consentire ai piccoli Comuni di concedere affidamenti fino al mezzo milione di euro significhi che “i lavori e gli acquisti si fanno male, si spende molto di più del necessario e si buttano soldi pubblici“. Poco importa per la Lega, secondo cui così si risparmia tempo – “solo per gli affidamenti senza gara si risparmiano da sei mesi a un anno” e si dà “più autonomia agli enti locali”. Grande soddisfazione leghista anche per quella che viene definita “la cosiddetta liberalizzazione sotto soglia: fino a 5,3 milioni ci potranno essere affidamenti diretti“. In realtà si tratta della procedura negoziata senza bando previa consultazione di almeno dieci operatori economici, già prevista – per i lavori sotto la soglia europea – fin dal 2020. Una procedura, peraltro, indigesta per i diretti interessati cioè i costruttori edili: la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, in audizione ha spiegato che consente “ad un’ampia quota di appalti di non essere più sottoposti alle regole di piena pubblicità e concorrenza“. E il Codice che per la Lega doveva avvantaggiare le aziende italiane ha fatto salire sulle barricate pure la Cna, che ha espresso “stupore per l’assenza di riferimenti alla specificità dei consorzi artigiani nelle bozze di decreto legislativo”.

Il Codice entrerà in vigore l’1 luglio – disattesa dunque anche la richiesta di pensare a un rinvio per correggere le criticità – con l’eccezione della digitalizzazione delle procedure che scatterà dal 1°gennaio 2024. Ciliegina sulla torta, nel nuovo Codice c’è pure una norma battezzata “prima l’Italia” che “fissa dei criteri premiali per il valore percentuale dei prodotti originari italiani o dei Paesi Ue”, fa sapere il Mit. “Tra i criteri di valutazione dell’offerta è previsto come premiale il valore percentuale dei prodotti originari italiani o dei paesi UE rispetto al totale. Una tutela per le forniture italiane ed europee dalla concorrenza sleale di Paesi terzi”.

La messa al bando dei cibi sintetici – In conferenza stampa il titolare dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, e il ministro della Salute Orazio Schillaci hanno rivendicato l’approvazione per la gioia di Coldiretti dello schema di disegno di legge per la messa al bando dei cibi sintetici. Che secondo il primo “non garantiscono qualità, benessere e tutela della cultura e tradizione enogastronomica e di produzione a cui è legata parte della nostra tradizione e modello” oltre a “produrre disoccupazione perché sarebbe più conveniente produrre dove il lavoro costa meno” e pure 2un rischio di ingiustizia sociale, in una società in cui i ricchi mangiano bene ed i poveri no”. Di qui il divieto di vendita, di commercializzazione, di produzione, di importazione e “ovviamente le sanzioni anche molto rigide che vanno da un minimo di 10mila ad un massimo di 60mila euro, fino al 10% del fatturato annuo realizzato nell’ultimo esercizio”. Per Schillaci il provvedimento “si basa sul principio di precauzione perché oggi non ci sono studi scientifici sugli effetti dei cibi sintetici. Ribadiamo il massimo livello di tutela della salute dei cittadini e la salvaguardia del patrimonio della nostra nazione e della nostra cultura agroalimentare che si basa sulla dieta mediterranea”.

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