L’Arabia Saudita sta valutando la possibilità di accettare yuan invece che dollari come valuta di pagamento per il petrolio esportato verso la Cina. Lo scrive il Wall Street Journal. Un altro segnale di avvicinamento verso Pechino ed allontanamento da Washington. Non solo, la compagnia statale Saudi Aramco ha acquisito una partecipazione del 10% (per un valore di 3,6 miliardi di dollari) nella Rongsheng Petrochemicals, la più grande delle raffinerie di petrolio cinesi a cui fornirà 480mila barili al giorno. All’ inizio di marzo Pechino è stata mediatrice di un accordo storico che ha visto Arabia Saudita ed Iran raggiungere un’intesa per avviare un percorso di normalizzazione dei loro rapporti dopo decenni di forti attriti. Si tratta rispettivamente del paese mediorientale tradizionalmente più vicino agli Stati Uniti e di quello più lontano. Riad inoltre ha sinora tenuto un atteggiamento molto morbido nei confronti della Russia, paese con cui continua a fare affari, tanto e più di prima.

Russia, Cina e Iran, con un qualche appoggio dell’India, stanno cercando di scalfire il dominio del dollaro come moneta globale di riferimento. Dominio che rimane solido ma che, secondo alcuni osservatori, potrebbe prima o poi iniziare a risentire delle sanzioni imposte contro Mosca. Cina e Russia si sono già accordate per utilizzare anche lo yuan nell’interscambio di idrocarburi. Altri paesi temono che in caso di contrasto con gli Stati Uniti, le loro riserve in dollari, spesso detenute presso banche centrali estere potrebbero subire lo stesso destino. L’Arabia Saudita è il secondo produttore e primo esportatore al mondo di petrolio. Ogni giorno vende a Pechino 1,7 milioni di barili di greggio, per un controvalore ai valori attuali di circa 46 miliardi di euro all’anno.

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