Il conto della guerra arriva anche in Svizzera che, per la prima volta, ha abbandonato la sua rigorosa storica neutralità (su cui si potrebbe comunque questionare visto che nel 1941 erogò un prestito da 850 milioni di franchi alla Germania nazista). Sebbene il paese elvetico abbia ribadito come sia legalmente impossibile confiscare i beni dei russi sanzionati detenuti nel paese, ha sposato la linea delle sanzioni occidentali. Il problema non riguarda solo e tanto i grandi patrimoni russi, che pure non sono cosa da poco. In gioco ci sono soprattutto le ricchezze cinesi. Pechino guarda la Russia e vede quello che potrebbe succederle qualora dovesse forzare la mano su Taiwan. E i ricchi cinesi fanno due più due. Un domani anche i loro patrimoni depositati in occidente potrebbero non essere del tutto al sicuro e subire le restrizioni che interessano oggi le ricchezze russe.

La Svizzera rimane il primo forziere delle grandi ricchezze globali custodendone circa un quarto del totale. Per effetto delle sanzioni circa 7,5 miliardi di franchi (8 miliardi di euro) di depositi riconducibili a clienti russi, su un totale di 46 miliardi, sono attualmente congelati. “Siamo rimasti non solo sorpresi, ma scioccati dal fatto che la Svizzera abbia abbandonato il suo status neutrale”, ha detto al Financial Times il direttore delle operazioni con l’Asia di una banca elvetica aggiungendo di avere evidenza di come centinaia di clienti asiatici che stavano valutando l’apertura di un conto in Svizzera abbiano fatto marcia indietro. Dai responsabili delle 10 principali banche del paese arrivano testimonianze simili non senza una buona dose di preoccupazione. Il sistema bancario svizzero è già alle prese con le difficoltà del colosso Credit Suisse che sta faticosamente cercando di risollevarsi da un anno terribile caratterizzato da una fuoriuscita di depositi, dal crollo del titolo in borsa e dalle ricadute del coinvolgimento dei fallimenti di Archegos e Greensill. La nuova “timidezza” dei facoltosi clienti russi prima, e di quelli asiatici ora, di certo non aiuta. “La questione delle sanzioni è stata sollevata dai clienti”, ha confermato uno dei banchieri interpellati dal quotidiano finanziario londinese.

Quello che vale per i privati vale anche, su scala più grande, per gli stati. Il dollaro mantiene saldamente la sua posizione di dominio sui mercati globali ma è certo che le sanzioni decise da Washington abbiano spinto diversi paesi a ridurre la loro dipendenza dal biglietto verde. Al momento è improprio parlare di una multilateralità valutaria ma questo è quello a cui aspirano Cina, India e Russia su tutti. Attraverso il dollaro gli Stati Uniti hanno uno straordinario strumento per influenzare gli equilibri internazionali e mantenere l’ordine geopolitico più loro confacente. Un potere che integra e a volte sopravanza quello militare. Il dollaro continua a rappresentare il 60% delle riserve delle banche centrali (ma poiché, come nel caso russo, le riserve sono spesso materialmente detenute all’estero, possono essere “congelate” di imperio). Seguono l’euro con il 20% del totale e la valuta giapponese, lo yen, con il 6%. Sterlina, yuan cinese e dollaro canadese e australiano rappresentano insieme meno del 5% delle riserve statali. Da tempo la Cina ha avviato un’operazione di sganciamento dal dollaro e da alcuni anni non diffonde più statistiche aggiornate sulla struttura delle sue riserve in valuta estera. La vicedirettrice generale e capo economista del Fondo monetario internazionale Gita Gopinath ha affermato in passato che le sanzioni alla Russia potrebbero erodere il dominio del dollaro incoraggiando la costituzione di blocchi commerciali più piccoli che utilizzano altre valute. L’economista Zoltan Pozsar di Credit Suisse ritiene che si prospetti all’0rizzonte un ordine valutario multipolare legato alle materie prime.

L’agenzia Reuters rileva come le sanzioni internazionali guidate dagli Stati Uniti abbiano iniziato a erodere il predominio del dollaro nel commercio internazionale di petrolio. I contratti tra Mosca e l’India, principale sbocco della Russia per il greggio trasportato via mare, sono stati infatti siglati in altre valute. Una tendenza che potrebbe rivelarsi duratura e rafforzarsi. L’India è il terzo importatore mondiale di petrolio e Mosca ne è diventata il principale fornitore. Spesso il petrolio russo viene raffinato in India e i prodotti ottenuti (benzina, gasolio etc) vengono poi venduti in Europa (a prezzi più alti). Mosca ha accettato di vendere forniture di gas alla Cina in yuan e in rubli invece che in dollari. Dopo l’entrata in vigore, lo scorso 5 dicembre, dell’embargo sul greggio russo, i clienti indiani hanno iniziato a pagare i fornitori con monete come il dirham degli Emirati Arabi Uniti e il rublo. Alcuni trader con sede a Dubai stanno cercando di definire con le compagnie Gazprom e Rosneft contratti non i dollari.

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