Chi odia, alla fine dei conti, perde. Sempre. In primis perché causa un danno profondo alla propria salute psicologica e fisica, avvelenando e facendo ammalare chi lo prova. In secondo luogo perché l’odio è l’unica cosa che resta da esercitare quando si sente di non avere più potere sull’altra persona. È, dunque, implicitamente un’ammissione di impotenza. Odiare, inoltre, ci tiene saldamente legati alle persone verso cui questo sentimento è rivolto: li rendiamo inconsapevolmente protagonisti della nostra vita e oggetti della nostra attenzione. Infine, l’origine dell’odio non risiede mai nella persona verso cui lo proviamo, ma va ricercata in ciò che quella persona rappresenta per noi. L’odio, infatti, si origina sempre e solo da quelle parti di noi che abbiamo rinnegato e che la persona davanti a noi riflette: il senso di fallimento, la debolezza, la fragilità, l’abbandono, il tradimento, l’insensibilità, la tristezza, la solitudine, l’ignoranza. Ad ascoltarci bene scopriamo che non odiamo gli altri, ma le parti di noi che gli altri rappresentano e che rifiutiamo profondamente. Perché, in fondo, intimamente una parte di noi sa bene che come vediamo gli altri così vediamo noi stessi; come li sentiamo così ci sentiamo; come li trattiamo così trattiamo noi stessi. Il mondo è uno specchio. Ricordiamoci di essere più gentili con noi stessi.

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