Erano gli anni Settanta dello scorso secolo e la Svezia già sostituiva il congedo di maternità con quello parentale, concedendo gli stessi giorni a entrambi i genitori, mentre nel 1993 la Norvegia è stata la prima a prevedere un congedo parentale che il padre non potesse trasferire alla madre. Ci sono voluti decenni, ma anche la Spagna prevede 16 settimane non trasferibili e, cosa di non poco conto, retribuiti al 100% dello stipendio. C’è ancora tanta strada perché l’Italia (e altri Paesi europei) non restino indietro rispetto a questi Stati, che davvero hanno messo in campo normative per favorire l’occupazione femminile e la parità dei ruoli nella cura dei figli. E non si tratta dei soli e ‘soliti’ Paesi Scandinavi. Non è un caso, infatti, se quando la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein ha chiesto alla premier Giorgia Meloni un impegno per approvare “un congedo paritario pienamente retribuito di tre mesi, non trasferibile tra genitori” ha citato proprio la normativa della Spagna. Ma cosa comporterebbe per l’Italia questo tipo di congedo? Per capirlo bisogna intanto distinguere tra congedo obbligatorio di maternità e di paternità (a cui si riferisce la proposta di Schlein) e congedo parentale facoltativo.

Congedo di paternità, in Italia ci sono voluti 10 anni per arrivare ad appena 10 giorni – Il congedo obbligatorio è il primo periodo di astensione dal lavoro. Per la madre ha una durata di cinque mesi da modulare prima e dopo il parto con possibilità, dal 2019, di iniziare a usufruirne esclusivamente dopo il parto, presentando un certificato del medico che attesti l’assenza di rischi. In questi cinque mesi, la lavoratrice riceve un’indennità pari all’80% della retribuzione, erogata dall’Inps e anticipata dal datore di lavoro. E i papà? Il congedo di paternità obbligatorio è stato introdotto per la prima volta in via sperimentale solo nel 2012 e appena per un giorno (retribuito al 100%). “Con la legge di stabilità 2015 – ricostruisce un recente studio l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal) – è stato esteso all’anno 2016 e, successivamente, è stato portato a due giorni per l’anno 2017, a quattro giorni per il 2018, a cinque giorni per il 2019 e a sette giorni per il 2020. La legge di bilancio 2021 l’ha prorogato, prevedendone una maggiore durata, di dieci giorni, non necessariamente consecutivi. La legge di bilancio 2022, infine, l’ha reso strutturale, in modo che non sia più necessario rinnovarlo di anno in anno”. In pratica ci sono voluti dieci anni per arrivare ad appena 10 giorni, da prendere dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi.

Cosa cambierebbe la proposta di Elly Schlein – Salta all’occhio l’enorme disparità con il congedo obbligatorio pensato per la madre. La proposta di Elly Schlein è quella di estendere a tre mesi questi 10 giorni di congedo di paternità, facendo in modo che questo periodo di astensione dal lavoro sia retribuito al 100% per entrambi i genitori. Un altro aspetto fondamentale: secondo la segretaria del Pd per renderlo davvero ‘obbligatorio’ per madre e padre, è necessario che non sia “trasferibile” all’altro genitore. Il rischio, infatti, è che i padri “cedano” i loro mesi di congedo alle madri, esacerbando ancora di più la disparità. Per questa ragione si parla di “congedo paritario”, che dovrebbe ridurre il gap. Per fare un paragone con gli altri Paesi europei, però, bisogna avere il quadro completo: ai congedi obbligatori (poco paritari) si possono aggiungere i congedi parentali (facoltativi). In Italia sono concessi per un periodo massimo di sei mesi alla madre e di sette mesi al padre fino ai 12 anni dei figli. I mesi di congedo non vanno però sommati, perché complessivamente il periodo di astensione non può superare i 10 mesi (11 se il padre ne chiede sette e si astiene per tre mesi dal lavoro). L’indennità è all’80% solo per un mese (e per un genitore) e al 30% per gli altri nove mesi, tre alla madre non trasferibili, tre al padre non trasferibili e tre mesi trasferibili (dunque scelgono i genitori che ne deve usufruire).

I Paesi più all’avanguardia sulla parità – Le differenze con i Paesi più all’avanguardia sono sostanzialmente due: un trattamento di effettiva parità tra uomini e donne per quanto riguarda la possibilità (e il dovere) di prendersi cura dei figli, tanto che si parla proprio di ‘congedi paritari’ e una percentuale di retribuzione sullo stipendio (rispetto all’Italia) anche dopo i primi mesi di vita dei bambini, che rende il congedo più facilmente usufruibile. Una normativa che punta alla parità è certamente quella adottata in Spagna: dal gennaio 2021 il congedo è di 16 settimane non trasferibili ed è usufruibile sia dai padri che dalle madri, che vengono retribuiti al 100% dello stipendio. Di questi quattro mesi, 6 settimane di congedo sono obbligatorie e devono essere ininterrotte, mentre le altre dieci sono facoltative e i genitori potranno scegliere se utilizzarle part-time. Per quanto riguarda i giorni di congedo meglio va indubbiamente nei Paesi Scandinavi. La Svezia è stata il primo Paese al mondo a sostituire, nel lontano 1974, il congedo di maternità con il congedo parentale: sono concessi 480 giorni (un anno e mezzo pagato all’80 per cento dello stipendio), 90 giorni alla madre, 90 giorni al padre e gli altri 300 da suddividere secondo le scelte dei genitori. Anche la Norvegia ha un primato: quello di essere stato il primo Stato in assoluto ad aver previsto per il padre, già nel 1993, un congedo parentale obbligatorio non trasferibile che oggi è di 10 settimane. Complessivamente, però, i genitori norvegesi che lavorano possono usufruire di 46 settimane di congedo (al 100% del salario) oppure 56 settimane (all’80%). Le prime sei settimane sono obbligatoriamente della madre. In Finlandia è in vigore dal 4 settembre la riforma del congedo parentale. Sono previsti 160 giorni di congedo parentale alla madre (più di cinque mesi) e 160 giorni al madre, con la possibilità di trasferirne 63 al partner o a un’altra persona che si prenda cura del bambino. Il diritto vale anche per chi ha i figli in affidamento, mentre i genitori single possono sommare le quote arrivando a 320 giorni.

Chi può fare di più – Ma l’Italia non è il solo Paese a poter fare di più. Pro e contro per il sistema tedesco. In Germania, infatti, sono previsti 12 mesi di congedo parentale, che diventano 14 se lo chiede anche il padre. I genitori possono usufruirne fino a tre anni di vita del bambino. Nel corso del primo anno la retribuzione sarà del 67% dello stipendio, del 65% per gli stipendi che superano i 1.200 euro al mese, poi si abbassa. Si tratta di un sistema, però, che comunque ha portato finora i padri a non andare oltre i primi due mesi di congedo. Anche in Francia non va benissimo: dal 2021 il congedo di paternità è di 28 giorni, di cui solo i primi sette sono obbligatori. Anche in questo caso, come per l’Italia, è evidente la differenza con le madri, che hanno invece 16 settimane di maternità. Ancora una volta le conseguenze di tutto ciò sono nei numeri. Se in Svezia il 40% delle domande di congedo sono inoltrate dai papà, secondo una elaborazione Openpolis su dati Inps, nel 2020 i lavoratori che hanno usufruito del congedo nel settore privato sono stati il 22,3%, contro il 78% circa di donne. Tutto questo, tenendo conto dei congedi per il Covid. Il resto è storia, confermata nell’ultimo Rapporto Plus dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, secondo cui oggi in Italia il 18% delle donne tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la nascita di un figlio. E se solo il 43,6% riesce a mantenere l’impiego, la percentuale al Sud e nelle isole scende vertiginosamente, ad appena il 29%.

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