“Da sei mesi siamo senza stipendio e nonostante questo stiamo garantendo il servizio tutti i giorni. Molti di noi hanno famiglia, mutui, bollette. Siamo in un momento drammatico”. Sono rimasti in 11 i dipendenti del Cep, il Consorzio Enti Pubblici SpA. Erano 15 prima dell’inizio della crisi, come racconta a ilfattoquotidiano.it uno dei lavoratori rimasti. Alla società partecipata a capitale interamente pubblico era affidata la gestione delle entrate tributarie ed extratributarie di 15 Comuni romani, tutti situati nel territorio a Sud Est della Capitale. Ora i Comuni soci sono rimasti solo cinque e sulla Cep del nuovo amministratore unico Antonio Di Paolo incombe il fallimento.

“Al momento l’azienda è in uno stato di concordato in bianco. A inizio mese ci è stata inviata una lettera di pre licenziamento dall’amministrazione, ma dopo venti giorni non c’è stato alcun seguito”, spiega uno dei dipendenti del Consorzio. Già da mesi i lavoratori si sono mossi per vie legali: un decreto ingiuntivo, una messa in mora, una segnalazione all’ispettorato del lavoro che ha provveduto a due ispezioni, con tanto di interrogatori. Ma la situazione è stagnante. Secondo i lavoratori, l’obiettivo è quello di trascinare ancora in avanti lo stallo, in modo da costringerli alle dimissioni. “Fortunatamente per giusta causa – specifica il dipendente -, visto tutte le azioni legali che abbiamo fatto. Ma al di là della disoccupazione, chissà quando riusciremo a prendere le mensilità arretrate e il tfr. Di fatto stanno tenendo in vita un morto, un’azienda piena di debiti”.

Sul buco milionario è stata aperta un’inchiesta giudiziaria. Sotto la lente della Guardia di finanza è finita la gestione societaria del Cep dal 2018 al 2020. Nel biennio le disponibilità finanziarie dell’azienda sono state compromesse. Gli inquirenti indagano per capire se le somme spese abbiano seguito sempre canali legittimi. Tra gli indagati ci sono l’ex direttore generale del Cep, Paride Pizzi, e altri manager a capo di società partner del Consorzio. Secondo l’accusa, il Cep e le aziende terze avevano creato un sistema di fatture false per fare uscire denaro dalle casse della partecipata, giustificando le operazioni come spese di acquisizione di servizi in realtà mai erogati. Gli indagati sono accusati dei reati di peculato e riciclaggio.

Dal 2020 molti dei Comuni soci, contemplando il rischio default, hanno deciso di lasciare il Consorzio. I soldi riscossi dai cittadini non arrivavano più nelle casse comunali e le amministrazioni locali non riuscivano a garantire i servizi essenziali ai loro abitanti. Il primo a lasciare il Cep è stato il comune di Cave. È proprio a questa cittadina di circa 10mila abitanti che, a gennaio 2020, una sentenza della Corte dei conti ha riconosciuto un risarcimento da oltre un milione di euro. “Il concessionario (il Cep, ndr) non ha riversato le somme riscosse secondo la tempistica del contratto, nonostante diversi solleciti”, si legge nell’atto. Per questo la Corte ha condannato la partecipata di Roma Sud Est al pagamento milionario.

Ora i comuni rimasti nel Consorzio sono cinque: Colonna, Artena, Rocca di Cave, Poli e Percile. I cittadini che hanno pagato le tasse e non hanno ricevuto in cambio alcun servizio dubitano di poter rivedere quei soldi. “L’azienda ha milioni di euro di debiti verso i fornitori, i comuni soci e noi lavoratori”, dichiara il dipendente. È preoccupato, sa che non sarà facile essere ricollocato nel mercato del lavoro. “Siamo tutti tra i 45 e i 55 anni. Dopo 15 anni in Cep non è facile trovare un altro posto. Mandiamo il curriculum in giro tutti i giorni da mesi, ma siamo abbandonati al nostro destino. In ogni caso entro due mesi qua non ci sarà più nessuno – conclude – È chiaro che questa azienda non ripartirà mai. A questo punto mi dispiace andare via solo perché vorrei vedere come va a finire questa baracca”.

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