Dal 2019 anche in Italia è disponibile la PrEP, un farmaco che previene il contagio dell’HIV. La fetta di popolazione che conosce questa profilassi, però, è ancora piuttosto limitata nel nostro Paese, e l’accesso alla terapia non è per tutti. La dottoressa Laura Corsico, Dirigente Medico del Centro IST (Infezioni Sessualmente Trasmesse) dell’Unità Complessa Malattie infettive della ASST Monza con sede a Muggiò, ha risposto alle domande de ilfattoquotidiano.it.

Che cos’è la PrEP?
PrEP sta per profilassi pre-esposizione e consiste nell’assumere un farmaco per impedire al virus dell’HIV, nel caso le persone si contagiassero durante i rapporti sessuali, di attecchire nell’organismo.

Quanto è efficace?
A seconda degli studi si parla di un’efficacia al 98-99%. Può essere assunta in due modi: una compressa al giorno oppure on demand (al bisogno) che vuol dire 2 compresse da 24 a massimo 2 ore prima del teorico rapporto sessuale e, a distanza di 24 ore esatte, una pillola per due giorni successivi all’ultima volta che si è fatto sesso. L’assunzione però è vincolata agli orari, quindi è una terapia efficace se fatta bene e consapevolmente. Lo schema on demand è solo per l’uomo: la donna per questioni di penetrazione e diffusione del farmaco nei tessuti non può prenderla al bisogno.

Tutti possono fare la PrEP?
Le linee guida dicono che tutte le persone che hanno un’attività sessuale potenzialmente a rischio possono accedere alla PrEP, però non è una terapia che può essere data senza averne discusso col paziente. Si tratta di un farmaco per cui ci sono anche effetti collaterali – più che altro ai reni – che vanno monitorati, e funziona soltanto contro l’HIV, non ha nessuna efficacia sulle altre infezioni a trasmissione sessuale. Ci sono persone che non tollerano l’idea di infettarsi e prendere la sifilide o la clamidia, quindi è bene che continuino a usare il preservativo anche se sono in PrEP.

Da quando c’è la PrEP sono aumentate le richieste di sesso non protetto?
Alcuni pazienti riferiscono di sentire una pressione esterna in tal senso, per questo iniziano la profilassi, ed è qui che io insisto sulla consapevolezza: quando si usa il preservativo ci si protegge anche da altre infezioni, fermo restando che la protezione totale si ha se vengono usate le precauzioni anche per i rapporti orali. Dovrebbe rimanere la libertà di poter scegliere. Se le persone si sentono costrette a entrare in PrEP altrimenti non riescono più ad accedere a un rapporto, diventa una forzatura.

Al contrario, c’è diffidenza anche verso chi è in PrEP?
Ci è stato fatto notare che c’è questa idea per cui se sei in PrEP vuol dire che fai di tutto. È la stessa cosa che veniva detta in passato del preservativo. La PrEP invece dovrebbe rendere il sesso più piacevole.

C’è chi contesta alla promozione della PrEP il rischio di deresponsabilizzazione nei confronti delle altre malattie.
Gli ultimi dati del Ministero della Salute parlano di diminuzione in termini generali delle infezioni a trasmissione sessuale, eccetto che nella fascia di popolazione MSM (Men who have sex with men, ndr) dove invece sono aumentate. Vero è che siamo andati a cercarle di più, perché chi fa PrEP è testato con controlli trimestrali a cui invece non accede il resto della popolazione. Se fatta bene, la profilassi potrebbe essere in realtà un vantaggio dal momento che permette cura e guarigione precoci, e quindi limitazione della diffusione delle infezioni.

Qualcuno segnala la difficoltà ad accedere ai controlli con regolarità, anche a causa delle tempistiche più lunghe dovute al Covid-19.
Nel nostro centro per ora non abbiamo avuto difficoltà di questo tipo. Inoltre considero la PrEP una profilassi maneggevole. Chi fa quella on demand può anche decidere di saltare qualche monitoraggio: se dall’ultimo controllo fatto a quello successivo non ha corso rischi possiamo allungare un po’ i tempi e fare esami quadrimestrali invece che trimestrali.

Come mai il farmaco può essere prescritto solo da un infettivologo e non anche da un medico di base?
L’infettivologo maneggia questi farmaci da tempo, li sa gestire, e poi c’è un protocollo dietro: nel momento della prescrizione vedo la persona, la monitoro, faccio gli esami relativamente alle altre IST. Se l’accesso fosse anche al medico di base questo pezzo potrebbe perdersi. Notiamo inoltre una difficoltà da parte dei medici di medicina generale ad affrontare i temi della sessualità. Ce lo confermano pure gli utenti, che in alcuni casi non riescono a farsi prescrivere esami relativi alle IST perché viene detto loro che non è il caso di farli, come se i pazienti non avessero una sfera sessuale.

Alcune associazioni definiscono la PrEP un privilegio poiché non tutti possono permettersela.
Obbiettivamente non ha un costo indifferente: una confezione da 30 compresse costa circa 60 euro. Di contro penso che la gratuità possa essere controproducente.

Come mai?
È una terapia che mi protegge da un’infezione che non ho e non voglio avere, credo sia più giusto che ci sia una compartecipazione da parte dell’utente. La gratuità, come dimostrato da studi condotti in altri ambiti, ad esempio quello psicologico, non aiuta perché non ci si prende la responsabilità di quel che si sta facendo. Se l’ho pagata di tasca mia ci penso più volte a usarla correttamente. Forse abbasserei il prezzo, anche se andrebbe spiegato alle persone che tutti i controlli relativi alle IST e che vengono garantiti gratuitamente hanno in realtà dei costi molto più alti di quei 60 euro.

In Italia si parla ancora poco di PrEP?
Ai piani alti se ne parla, anzi si sta chiedendo che diventi a carico del Servizio sanitario nazionale. Non dimentichiamoci poi che la sanità è regionale, per cui il territorio va guardato, e si deve considerare che bisogno si ha rispetto alla popolazione. In Lombardia la PrEP c’è, non in tutta Italia, questo è un dato di fatto. La richiesta è sempre più alta, poi è vero che la stragrande maggioranza di persone che fanno PrEP appartengono alla comunità LGBTQ+. Anche nel nostro centro seguiamo un centinaio di pazienti e solo 4 sono eterosessuali, di cui due donne.

Che target avete come età?
30-50 anni. Quello che viene detto dagli utenti è che i giovani utilizzano sempre meno il profilattico, però non hanno contezza della questione. Da un certo punto di vista dico che è logico culturalmente poiché non hanno vissuto gli anni dell’AIDS importante, e pensano che se anche si dovessero infettare possono curarsi, il che in parte è vero, ma dal punto di vista di politica sanitaria ovviamente non funziona. Bisognerebbe accedere anche a quella fascia di età che è meno propensa alla protezione.

Ci sono delle idee in cantiere a tal proposito?
In Lombardia si stanno muovendo un po’ di cose. Quest’anno partirà un progetto di testing rapido sul territorio gestito da laici, ovvero non da operatori sanitari, in collaborazione con le ASST e con i centri IST. Si offrirà il test gratuito per HIV e sifilide nelle realtà locali, come discoteche e posti di ritrovo. Questo sulla scorta di quanto è stato fatto nel Nord Europa, dove è stato dimostrato che operazioni di testing a tappeto funzionano. È chiaro che poi deve esserci un aggancio col servizio preposto perché quando mi dovessi trovare una positività devo sapere dove andare.

Per quel che riguarda il centro di Muggiò invece ci sono nuovi progetti in via di sviluppo?
La PrEP per noi è ormai parte del lavoro: una parte bella e interessante. Rispetto alla prevenzione, invece, periodicamente facciamo aperture con accesso libero per l’esecuzione del test rapido, e con i colleghi di Monza abbiamo progetti di prevenzione sul campo, in genere nel mondo dei sex workers. Per il futuro abbiamo un po’ di idee rispetto alla popolazione che sentiamo più esposta al rischio, con la possibilità di fare non solo prevenzione ma anche incontri “inform-attivi”, cogliendo lo stimolo del Ministero della Salute che dice bisognerebbe tornare a fare educazione sessuale vera e propria.

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