Cinema

Benedetta di Paul Verhoeven: quando nudo, sesso e blasfemia non fanno più scandalo. Ed è un peccato..

di Davide Turrini

Una suora sogna una relazione appassionata e si accoppia con un Gesù asessuato sulla croce. Un dildo double face, con da una parte le fattezze della Madonna e dall’altra quelle di un pene, viene nascosto tra le pagine di una Bibbia. La nudità peccaminosa di due suore lesbiche guizza voluttuosa tra gli spasmi del piacere e viene combattuta dall’arcigna autorità papale. Benedetta di Paul Verhoeven – nelle sale in questi giorni in Italia grazie a Movies Inspired – ambientato in un convento a Pescia nel ‘600, è un’opera lucidamente provocatoria sul concetto di corpo inteso come peccato e sul significato della fede nell’immateriale. A breve torneremo con il resto delle recensione, ma la considerazione di fondo che volevamo fare in apertura è che oramai un film del genere non provoca mediaticamente e culturalmente più scandalo. Certo, il “reato” di blasfemia è puramente speculativo. Implica che ci sia qualcuno che creda al concetto in sé e che lo denunci per difendere la pubblica morale (e ci risulta che ce ne siano). E se questo non è accaduto (c’è un divieto ai 14 anni che fa sorridere) non è tanto perché l’autore di Basic Instinct, Showgirls, Black Book, ma ancora di più con riferimenti qui molto diretti del suo Flash and blood, non ha saputo costruire con rigore e perizia una parabola storica tale da convogliare l’attenzione popolare. Semmai è perché il cinema non sembra più in grado di veicolare questo tipo di esperienza morale tra gli oramai sparuti spettatori fidelizzati in enclave auto celebrative dopo due anni di drastiche restrizioni.

Non saremmo più all’epoca de La dolce vita e di Ultimo tango a Parigi, come banalmente del Joker con Joaquim Phoenix di pochi anni fa, ma il film inteso come opera d’arte, o semplicemente come contenitore di storie, sembra sempre più lontano dalla dimensione spettatoriale della sorpresa e dello stupore, dall’atto di sfida nell’umiliazione di un trasversale e normalizzante perbenismo (Bunuel, Ferreri). Se Benedetta fosse uscito o fosse un film anche solo di vent’anni fa, ed esteticamente della differenza non ce ne saremmo nemmeno accorti, probabile che se ne sarebbe parlato con una certa verve quasi irrisoria. Perché Verhoeven, qui con David Birke allo script basato sul romanzo Atti impuri: vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento della storica Judith Brown, sembra come divertirsi con spirito avventuroso e iperrealismo visivo nel deformare le pratiche conventuali tra un gruppo di teatine.

Benedetta Carlini (Virginie Efira), figlia di un ricco signorotto di campagna, devotissima della Vergine, entra fin da bambina (con la tangente del padre alla badessa) nel convento tra le colline toscane. Diciotto anni dopo, mentre recita sul palco una sorta di ascensione, la protagonista è vittima di una sconvolgente visone dove le appare un Gesù guerriero a cui sente la tentazione di concedersi sessualmente. Tempo dei commenti bisbigliati delle consorelle ed ecco che la giovane contadina Bartolomea (Daphne Patakia) scappando dalle angherie del padre, cerca rifugio tra le braccia casuali di Benedetta e viene successivamente accettata come novizia. Qualcuno potrebbe ricordare alla lontana Storia di una monaca di clausura di Domenico Paolella, con le suore Eleonora Giorgi e Catherine Spaak, solo che subito Verhoeven salta i preliminari del nascondino corporeo e piomba sull’attrazione immediata zeppa di nudi tra Benedetta e Bartolomea. La prima, tanto compunta quanto invasata, confonde continuamente il “richiamo” visionario di Gesù traducendolo come peccato di lussuria verso la neo arrivata; la seconda, esuberante, animalesca e infantile (sì sembra il Nome della Rosa, anche verso il finale), scorreggia e caga sorridendo con Benedetta e proponendo le sue rigogliose nudità. Tra le due scatta un’attrazione fatale irrefrenabile che richiede una spiegazione immateriale.

Benedetta chiede lumi alla badessa (Charlotte Rampling) ma poi sembra come approfittarsene della creduloneria conventuale e dei paesani, mostrandosi bucata e sanguinante dalle stigmate, conquistando la fede delle consorelle che la eleggono badessa. Nella sua alcova potrà dedicarsi al sollazzo sessuale con Bartolomea, ma la relazione non passerà inosservata. Anzi, l’Inquisizione giungerà a Pescia per processare le eretiche, bestiali e blasfeme ragazze, mentre la peste dilaga tra abitanti ed autorità. Benedetta è film di carne e sangue, dalla trama credibile e articolata, orientato filosoficamente sull’assenza di Dio, dove castità e santità nemmeno si parlano, e con una passione genuina per il corpo femminile (fil rouge di tutto il cinema di Verhoeven baldanzosamente pruriginoso) elevato a metafora di potere e grimaldello di profanità. Romanzo e film sono tratti nientemeno che da una storia vera. Appunto: che Benedetta non faccia scandalo, non scuota, non se ne parli oltre e a malapena tra le pagine di cinema, sa tanto di appassimento della curiosità intellettuale e di overdose di porno online.

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