Tutta la notte in coda, al freddo, con la speranza di fare domanda di protezione internazionale. Succede da alcuni mesi, ogni finesettimana a Milano, davanti alla questura di via Cagni. A partire dal venerdì, centinaia di richiedenti asilo arrivano muniti di coperte, vestiti, cibo. Si sistemano nel parco di fronte alla caserma Annarumma, riuniti in gruppi per nazionalità. Ci sono passeggini, donne incinte, disabili. Le famiglie si attrezzano con sacchi a pelo e tende da campeggio, alcuni accendono dei falò. Stanno così per giorni, finché non arriva la tarda serata di domenica. Verso mezzanotte, la polizia seleziona circa 120 richiedenti e li mette in ordine su un marciapiede transennato. Tutti gli altri, centinaia, restano fuori. “Ho un appuntamento oggi”, urla alla polizia Ahmed. Sventola un foglio per mostrarlo agli agenti, ma loro non possono vederlo perché in mezzo ci sono altre 200 persone. “È la quinta volta che vengo qui e non riesco a entrare”, spiega a ilfattoquotidiano.it Margarita, peruviana. Indossa una coperta di pile grigia e non sa più come coprirsi, mentre le temperature sono appena sopra lo zero. Insieme agli altri ispanofoni ha creato una lista ma le forze dell’ordine non l’hanno tenuta in considerazione. “Sono qui per un’amica – racconta José, sudamericano – le tengo il posto perché lei sta male, ha subito violenze prima di lasciare il suo Paese. È disabile e non reggerebbe tutte queste ore fuori. Ha anche paura di essere coinvolta negli scontri tra migranti e polizia. Mi aspetta in macchina, è già la terza volta che proviamo”, dice.

Per i fortunati che riescono ad accedere, la porta si apre intorno alle sei di mattina.Poi viene fissata una data per presentare la richiesta di asilo. A quell’appuntamento,ogni richiedente riceve un foglio anagrafico che serve solo a non essere espulsi. Si fissa un secondo colloquio per la compilazione del modello C3, che formalizza la domanda di protezione internazionale. A quel punto, ogni migrante può iscriversi al Sistema sanitario nazionale e, dopo 60 giorni, lavorare legalmente in Italia. Questo iter però può durare a lungo. A Milano, il tempo di attesa medio adesso è tra i cinque e gli otto mesi. Secondo la questura, a peggiorare le cose è stato l’aumento progressivo dei migranti dalla fine del 2022. Stando ai report del ministero dell’Interno, a dicembre ci sono stati oltre 10mila sbarchi, più del doppio rispetto all’anno precedente. “Gli hotspot sono sovraffollati, e le persone che vi transitano spesso vengono lasciate sul territorio senza informazioni sul loro status giuridico né sulla modalità di accedere alla protezione internazionale o ai servizi di accoglienza”, spiega a ilfattoquotidiano.it Nicola Datena dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi). Chi sfugge ai centri per il rimpatrio e ai sistemi di accoglienza si ritrova in coda nelle questure d’Italia, con incidenza maggiore nei grandi centri. Milano è tra le mete preferite perché offre ampie possibilità lavorative e ospita alcune delle comunità straniere più grandi, come quella egiziana. Fino a un anno fa tutte le procedure erano gestite nella sede centrale, in via Montebello. Ma quando i numeri si sono ingigantiti, si è deciso di smaltire la fase preliminare delle istanze in via Cagni. All’inizio, le persone si presentavano cinque giorni su sette senza prenotazione, seguendo un calendario stabilito dalla questura. Da dicembre, in seguito alle proteste degli abitanti della zona, gli appuntamenti per la richiesta di asilo si prendono solo di lunedì, per un massimo di 120 posti. Un numero troppo basso rispetto alle richieste. “La questura è l’ente territoriale del ministero dell’interno e, considerato che la situazione che c’è a Milano è simile a quella di molte altre città italiane, tutto fa pensare che vi sia una precisa volontà politica di ostacolare l’accesso alla protezione internazionale e magari indurre le persone a lasciare l’Italia per raggiungere altri Paesi europei, aggirando in questo modo il regolamento Dublino”, dice Datena.

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