Per la prima volta un corteo ha attraversato l’area portuale di Genova, da sempre preclusa ai non addetti ai lavori. Oltre tremila persone hanno risposto alla chiamata del Collettivo autonomo lavoratori portuali contro il transito di armi dai porti civili. “Abbassare le armi, alzare i salari” è lo slogan scelto dall’Unione sindacale di base per aderire a livello nazionale e rilanciare questa giornata di mobilitazione contro il commercio di armamenti che si lega alla contestazione dell’aumento delle spese militari e dell’escalation bellica di questi mesi, che vede nei porti uno snodo logistico fondamentale per la distribuzione degli armamenti dai Paesi produttori verso quelli impegnati in conflitti armati. “Da anni assistiamo alla violazione dei limiti imposti dalla legge 185 del 90 – spiega José Nivoi, portavoce del Calp e sindacalista Usb – che impongono il divieto di importazione, esportazione e transito di armi dall’Italia verso Stati in guerra o dove avvengono violazioni dei diritti umani”.
Tra i partecipanti attivisti pacifisti, nonviolenti e antimilitaristi da diverse parti d’Italia oltre a qualche delegazione da diversi Paesi europei: “Sappiamo che non è possibile uscire dall’escalation bellica solo a livello locale – spiegano dal Calp – per questo nei mesi scorsi abbiamo incontrato lavoratori, associazioni e attivisti in diverse città europee – da Bruxelles a Marsiglia, da Port du Bouc a Zurigo, poi Kiel, Amburgo, il Pireo, Koper, Londra, Berlino, Barcellona – trovando ovunque sostegno”. Il corteo ha attraversato il porto per poi dirigersi in piazza De Ferrari, nel centro di Genova, dove si sono tenuti gli interventi conclusivi. Presenti in piazza diversi partiti della sinistra extraparlamentare (Potere al Popolo, Rifondazione), sindacati di base (Usb, SiCobas e Cub) con massiccia rappresentanza di lavoratori della logistica e rappresentanti locali del M5s e dell’area della sinistra ecologista.
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