Televisione

Morto Maurizio Costanzo: la storia della televisione, la “cretinata” della P2 e il rapporto con Berlusconi – Il ritratto

Il suo agire, scovare, mostrare, intervistare a 360 gradi, lo ha portato a diventare una figura centrale dell’intrattenimento culturale vicino anche a grandi scandali e cambiamenti politici e del costume del Paese

di Davide Turrini

Addio a Maurizio Costanzo. Il giornalista e conduttore tv che rivoluzionò in Italia il talk show piazzandosi con il suo sgabello mobile tra gli ospiti aveva 84 anni. Instancabile, iperattivo, indiscusso protagonista della storia della tv italiana, non c’è anno in cui si è fermato per il desiderio di una pausa. Il ragazzo romano, figlio di un impiegato e di una casalinga, che a vent’anni già scriveva articoli per quotidiani, settimanali, riviste, senza fermarsi un istante, l’iconica figura del piccolo schermo che amava e seduceva le donne (quattro le mogli – Lori Sammartino, Flaminia Morandi, Marta Flavi, Maria De Filippi – più la relazione con Simona Izzo) ha raccontato che di personaggi pubblici, di celebrità, come di perfetti sconosciuti, nei suoi salotti, che si sono srotolati dal 1976 (Bontà loro), passando da Acquario (1978) e arrivano all’intramontabile Maurizio Costanzo Show (dal 1982 fino ad oggi), sono stati oltre 55mila. Costanzo è stato giornalista, ma anche autore radiofonico, teatrale e musicale, sceneggiatore e regista cinematografico, talent scout di comici (Paolo Villaggio) come di cabarettisti incoronati al teatro Parioli (Enzo Iachetti, Dario Vergassola, Giobbe Covatta, Giole Dix, Marco Carena, tra i tanti), di intellettuali e opinionisti (Mughini, D’Agostino, Sgarbi), ma anche amplificatore della personalità di artisti e letterati poliedrici e sui generis (Bellezza, Bene, Busi). Il suo agire, scovare, mostrare, intervistare a 360 gradi, lo ha portato a diventare figura centrale dell’intrattenimento culturale vicino anche a grandi scandali e cambiamenti politici e del costume del Paese. Nel 1982 il suo nome apparve sulle pagine dal Corriere della Sera nelle lunga lista, quasi mille note personalità, degli appartenenti alla loggia massonica P2 di Licio Gelli (“una cretinata”, la definì in un’intervista a Peter Gomez).

Con lui nel listone massonico c’erano i suoi datori di lavoro come l’editore Angelo Rizzoli e il direttore generale Rizzoli, Angelo Tassan Din; come il successivo datore di lavoro di Costanzo, Silvio Berlusconi; e suoi amici fraterni come Roberto Gervaso e il suo medico personale Fabrizio Trecca. Quando poi Costanzo nel 1991 dedicò una puntata all’uccisione dell’imprenditore siciliano Libero Grassi, che si era opposto al sistema mafioso del pizzo, e cominciò, triangolando con Michele Santoro in Rai a raccontare il potere mafioso in Italia mettendo sul palco del Parioli anche giudici come Giovanni Falcone, finì vittima di un attentato in via Fauro a Roma, nel 1993, mentre stava tornando a casa in automobile assieme alla moglie Maria De Filippi. Costanzo spiegò poi che quando il suo editore e padrone, Silvio Berlusconi, scese in campo, candidandosi alle elezioni del 1994, ebbe l’ardire di dirgli che non l’avrebbe mai votato. Il Costanzo Show negli anni Duemila sterzò nuovamente direzione, tornando ad essere palco per l’intrattenimento più sereno e gioviale, non disdegnando comunque la presenza dei politici, ma rimanendo più fedele alla linea cardine iniziale della filosofia del programma: “Il talk è la vita, non la promozione di sé e dei propri lavori”. Collezionista di statuine a forma di tartaruga, Costanzo divenne negli anni Duemila una sorta di grande vecchio delle televisione con apparizioni radiofoniche e televisive miste (anche in Rai, per dire, dopo oltre trent’anni) con il ruolo nostalgico di scrigno e memoria della tv, nonché romantica metà della mela nel rapporto intimo e delicato con l’amata Maria De Filippi e del loro figlio adottivo, Gabriele, il terzo per Costanzo, dopo Camilla e il regista Saverio – avuti con la Morandi – che a loro volta gli hanno regalato due nipoti a testa.

La “cretinata” della P2 e il rapporto con Silvio Berlusconi. Nel 1991 Maurizio Costanzo venne chiamato a deporre in qualità di testimone nel corso del processo per il crack del Banco Ambrosiano Veneto (1991). Il conduttore tv spiegò alla Corte i rapporti da lui avuti con Licio Gelli e la P2, affermando di aver aderito alla loggia nel 1978, per un “bisogno di rapporti umani e solidarietà in un momento di solitudine della sua vita”. “Sono stato un superficiale”, ripeté Costanzo poi nel 2019 a Peter Gomez durante una puntata de La Confessione commentando la presenza del suo nome sul listone P2. Durante l’udienza del ’91 il giornalista romano aveva ricordato che era stato il dottor Trecca (poi conduttore di una striscia notturna sulla salute e la medicina in Mediaset ndr), suo medico personale a presentarlo a Gelli e a convincerlo ad iscriversi. Costanzo dal canto suo in quella deposizione aveva raccontato anche come era riuscito ad intervistare sul Corriere della Sera (con pubblicazione nel 1980) proprio Gelli nella serie di interviste intitolate Il fascino indiscreto del potere” poi riportato anche nel suo libro Smemorie. “Fu un’intervista faticosissima, un giorno intero a battagliare”. Costanzo spiegò che il primo invito a Gelli fu suo nel ’77 per una puntata di Bontà loro, ma il venerabile declinò. Per poi però farsi pressante tanto che l’intervista del 1980 fu richiesta da Gelli per mesi. Proprio durante la deposizione del ’91 Costanzo spiegò che quell’iscrizione non gli diede alcun vantaggio professionale ma che aderì a questo “consorzio umano per stringere rapporti” perché “si vivono anche solitudini nella vita”. Se da un lato la tentazione della politica e dei politici sulle poltroncine dei propri talk non sfiorò Costanzo nei primi anni Ottanta, il Maurizio Costanzo Show divenne amplificatore di una sorta di primigenia tv antimafia nazionale il 26 settembre 1991. Costanzo e Michele Santoro andarono in onda a reti unificate – “Samarcanda” Rai dal teatro Biondo di Palermo e MCS di Canale 5 dal Parioli di Roma – con presente sul palco a Roma anche Giovanni Falcone. La serata in memoria di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso dalla mafia perché oppostosi al pizzo, ebbe come apparizione cult Totò Cuffaro, all’epoca deputato regionale che si scagliò con veemenza contro i due conduttori e gli intervistati, accusandoli di “giornalismo mafioso”. Il 14 maggio del 1993, a poca distanza dalle stragi di Capaci e via ‘Amelio, e poco prima delle bombe mafiose di Roma e Milano che scoppiarono due mesi dopo, Costanzo aveva finito di registrare la puntata del suo talk quando tornando a casa in automobile assieme alla moglie De Filippi rimase vittima di un attentato mafioso in via Fauro a Roma. Costanzo rimase illeso per miracolo, anzi per una questione di pochi centimetri, perché il tritolo nascosto su una Fiat Uno venne fatto saltare con qualche attimo di ritardo rispetto al tempo stabilito provocando comunque più di 20 feriti. Fu proprio Totò Riina ad esprimere disappunto (“mi ha rotto i coglioni”) verso il conduttore Mediaset che oltre alla staffetta antimafia con Santoro aveva ospitato nientemeno che Giovanni Falcone con una puntata speciale a lui dedicata. Dopo nemmeno tre mesi fu la volta della discesa in campo di Berlusconi, presidente Mediaset, colui che volle e tenne sempre a Canale 5 Costanzo. Era l’epoca in cui a tutte le storiche colonne della tv del Biscione veniva chiesto se avessero approvato o meno l’arrivo del loro datore di lavoro a Palazzo Chigi. Costanzo ribadì più volte che non l’avrebbe mai votato, finendo per diventare un’icona dei progressisti occhettiani dell’epoca. Anche se c’è chi come Riccardo Bocca, autore di Maurizio Costanzo Shock (Kaos edizioni), ha sempre ironizzato su questa sorta di smarcamento di Costanzo da Berlusconi a metà anni Novanta definendolo sarcasticamente “il berlusconiano dell’Ulivo”, definendo il talk “il salotto di regime”. Sempre nello stesso libro Costanzo viene collocato come attivissima parte di un cerchio magico berlusconiano di Arcore all’epoca condito dalla presenza di Emilio Fede, Giuliano Ferrara, Andrea Monti ed Enrico Mentana. Quando infine anno dopo anno emergeranno i legami di Forza Italia con la mafia, nella fattispecie nella figura di Dell’Utri, Costanzo affermò sempre alla Confessione di Gomez: “Il nome di Dell’Utri mi ha fatto un po’ impressione (…) e non mi ha fatto piacere, però io sono convinto che se lo stragismo è finito è perché evidentemente la mafia, che non è finita, qualche affare lo sta facendo”.

Da Mina passando per Ettore Scola, Orazio, fino all’amore per Maria. Costanzo non è stato soltanto il laico compassato guru della televisione, o ancora meglio della forma del talk. Il tifosissimo della Roma, che nel tempo ha lasciato perdere la visione delle partite per non soffrire troppo, è sempre stato prima di tutto un uomo curioso rispetto al mondo circostante, un brillante conoscitore delle arti e dello spettacolo a tutto tondo, tanto da lasciare traccia della sua creatività e della sua inventiva alla radio, nel teatro, ma ancora di più nella musica e nel cinema. Il caso più celebre è nel 1966 quando Costanzo con l’amico Ghigo De Chiara scrive il testo di Se telefonando che Mina porta ad un successo planetario. Mentre il giovane futuro ideato del talk italiano più longevo fa lo slalom tra i doppi sensi amorosi del brano per evitare la censura nientemeno che Ennio Morricone (ancora non proprio affermato, a dire il vero) compone note e accordi buttandoci dentro una intro di fiati tratta dalle sirene della polizia di Marsiglia. “Devo la scrittura di quel testo al vecchio amico Ghigo De Chiara, era il critico teatrale de l’Avanti, lo firmammo insieme; e a Ennio Morricone, il magnifico brano era suo. Ricordo ancora quando Mina la cantò per la prima volta. Un brivido irripetibile”. Costanzo in quegli anni di frenetico apprendistato di ogni forma d’arte mentre lavorava al programma tv Quelli della domenica con il collega Umberto Simonetta intravede Paolo Villaggio, non ancora Fantozzi, che si piega a metà e si squaglia sopra la celebre poltroncina sacco mentre Gianni Agus lo schiavizza modello capufficio. È lì che Costanzo coglie l’universalità della figura del sottoposto impiegatizio e ne statizza il nome che diventerà un grande successo tv: Fracchia. Vogliamo tirare fuori un’altra specialità di Costanzo? Il mestiere di sceneggiatore. Per e con Pupi Avati scrive tra i più straordinari script anni settanta del cinema di genere più bello del regista bolognese: Bordella, lo stracult horror La casa delle finestre che ridono assieme ai fratelli Avati e a Gianni Cavina; Le strelle nel fosso; Zeder; Tutti defunti tranne i morti. Nel 1977 affianca addirittura Ruggero Maccari ed Ettore Scola per scrivere un capolavoro: Una giornata particolare. È del 1978 invece la prima e ultima regia di Costanzo, Melodrammore, una sorta di semi-parodia al cinema di una volta con protagonista Enrico Montesano e l’incombente Amedeo Nazzari nei panni di se stesso. Costanzo mai sazio non solo si afferma con le sue modalità rivoluzionarie nel creare talk (link) ma tenta altre strade alquanto bizzarre in tv. Ad esempio la sit-com Orazio che dura per ben tre stagioni (’85-87) su Canale 5 vede Costanzo anche interprete assoluto, mentre per la scrittura si affida a un tema incredibile: Lidia Ravera autrice di Porci con le ali e Paolo Pietrangeli, regista del MCS ma anche di capolavori del cinema come Io la conoscevo bene. Mai un attimo lontano dagli studi tv (pensate solo a Buona Domenica quando per tutta la settimana aveva fatto il talk), mai un attimo lontano dai riflettori del piccolo schermo. Un cursus honorum simile a quello della De Filippi, da diversi anni iperpresente in ogni fascia tv con i suoi storici programmi Amici, C’è posta per te, Uomini e donne. Affinità elettive mica da ridere per la coppia che si conobbe durante un convegno sulla pirateria audiovisiva e che poi sei anni dopo si sposò, tanto che Costanzo recentemente espresse una sorta di ultimo desiderio: “Vorrei morire senza accorgermene mano nella mano con Maria”.

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