La Premier Meloni decisamente non ama il superbonus fiscale del 110%. Peraltro qui è sulla stessa linea del precedente premier, Mario Draghi. Con un primo intervento d’urgenza a fine novembre ha ridotto anche per il 2022 la quota di detrazione al 90%, creando molto scompiglio soprattutto tra le assemblee condominiali che speravano di avere a disposizione l’intero anno per approvare i lavori. La Premier evidenziava che il superbonus aveva creato un buco di bilancio di 38 miliardi (?) che andava ridimensionato. Evidentemente solo due mesi fa questo primo intervento era ritenuto sufficiente. Rimaneva in piedi il percorso Draghi con riduzioni a tappe del super bonus per arrivare al 2025 al ragionevole sconto del 65% sulle spese sostenute.

Ieri il governo ha impresso un’improvvisa accelerazione, il famoso colpo di reni, a questo processo di smantellamento del superbonus. Ancora per decreto, evidentemente vi è grande urgenza, sarà eliminata la possibilità della cessione del credito e dello sconto in fattura non solo per le spese legate al super bonus edilizio, ma anche per quelle di tutti gli altri bonus. Giancarlo Giorgetti ha fatto rabula rasa. D’ora in avanti sarà possibile accedere solo alle lente detrazioni decennali.

Stavolta il ministro non ha offerto una quantificazione dei risparmi per lo Stato. Ha semplicemente affermato che era suo dovere intervenire per mettere “in sicurezza i conti pubblici”, dimenticando peraltro che la sua finanziaria di dicembre prevedeva un debito aggiuntivo di 21 miliardi. Ma si sa, la memoria, è sempre molto corta. Una domanda sorge spontanea: possibile che in due mesi la situazione della finanza pubblica si sia deteriorata a tal punto da richiedere un intervento emergenziale? Quali sono le vere ragioni che stanno per sconvolgere le scelte di migliaia di imprese e di decine di migliaia di famiglie? L’argomento conti pubblici, non sembra molto credibile, anche se non può essere certo ignorato. Molti studi poi hanno dimostrato che il superbonus ha avuto un impatto non così elevato sui conti pubblici in ragione delle economie che produce. Insomma il buco c’è, ma di proporzioni accettabili.

La cessione del credito è sempre stata un punto molto problematico dei vari bonus fiscali, in particolare del superbonus edilizio. Per molti motivi, che anche qui abbiamo spesso evidenziato. Dal lato del contribuente si crea un ingiustificato vantaggio perché il fisco riconosce le detrazioni fino all’ammontare dell’imposta. Ma non nel caso dei bonus fiscali che quindi sono un gradito regalo per il contribuente. Poi c’è l’argomento strettamente economico della crescita esponenziale dei prezzi, trainata dalla domanda e dai sussidi pubblici. Se paga lo Stato, i prezzi naturalmente lievitano. Inoltre, il meccanismo della cessione del credito è una specie di far west senza regole che ha portato ad enormi guadagni per finanziarie e banche.

Su questo aspetto, dunque, era doveroso intervenire. Draghi lo ha fatto da par suo. La discesa del superbonus al 90% per il 2023 e al 70% per il 2024 avrebbe prodotto automaticamente un raffreddamento di questa finanza tossica legata all’edilizia. La convenienza della cessione di fatto è nulla o scarsissima già dall’anno prossimo. Draghi, probabilmente, avrebbe voluto fare di più ma la sua coalizione lo ha bloccato. Non è un caso che perfino il ministro Giorgetti per giustificare la sua azione così violenta si sia riferito alle perplessità del precedente Presidente del Consiglio.

Il problema è se si possa correggere un errore con un altro errore. Il blitz notturno del ministro non è un buon modo per risolvere un problema ben noto da tempo. Non c’era la necessità di una forzatura legislativa, tirando fuori l’argomento evergreen della salvaguardia dei conti pubblici. Molto semplicemente si poteva dialogare con le associazioni di categoria e trovare una ragionevole soluzione, alla Draghi insomma, che venisse incontro alle aspettative delle famiglie e delle imprese. Invece il ministro ha voluto mostrare i muscoli e sarà responsabile della caduta della crescita economica, dovuta nei due anni precedenti proprio alla forte dinamica del settore edilizio. Con un tratto di penna, il problema è stato eliminato più che risolto, con gravissimo danno per l’economia, le imprese e le famiglie.

Rimane una domanda. Veramente i conti pubblici sono a rischio, come ha affermato il ministro anche se molto prosaicamente e senza toni drammatici? È curioso che solo una settimana fa la Premier in una lunga intervista ad un quotidiano economico abbia affermato il contrario. Cioè, che grazie alla prudenza finanziaria del suo governo i conti dello Stato sono in ordine. Forse allora i due dovrebbero parlarsi e chiarirsi le idee. Probabilmente ha ragione Giorgetti, che di professione fa il commercialista. Non sono bastati i tagli alle pensioni, i tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici e ancora la riduzione attuale e futura del reddito di cittadinanza. Da qui in avanti dovremmo attenderci altre misure spettacolari, portate avanti con il decisionismo della decretazione d’urgenza che esalta l’esecutivo e annulla il Parlamento.

Ma non ci sono solo cattive notizie. Gli evasori possono contare su di un diverso atteggiamento del fisco alla Meloni e i facoltosi professionisti e lavoratori autonomi su ulteriori privilegi fiscali. Siamo poi in attesa della “dolce” riforma del fisco promessa dal vice-ministro che sicuramente ridurrà le tasse per i ricchi. Tutte queste proposte politiche richiedono risorse, anche ingenti. Il ministro è a caccia di soldi per farle. Stavolta ha aggredito in maniera del tutto cinica ed irragionevole i bonus fiscali, la prossima volta non si sa. Tutti siamo avvertiti, il governo ogni mese, forse ogni due, troverà nuove soluzioni per coltivare il suo ben curato orticello elettorale. La destra sovranista fa così, accontenta i suoi presunti o reali elettori; la sinistra dovrebbe imparare a fare altrettanto. Non è mai troppo tardi.

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