Lo stato di salute della Pubblica amministrazione? Quanto sta accadendo nelle prefetture aiuta a farsi un’idea. Dall’emersione del lavoro nero avviata nel 2020 al decreto flussi 2021 per l’ingresso di lavoratori stranieri, l’arretrato è enorme. Parliamo di decine di migliaia di domande ancora in sospeso che rischiano di incagliarsi definitivamente, moltiplicando ricorsi e risarcimenti dopo che i 582 interinali in forza agli uffici prefettizi sono stati lasciati a casa il primo gennaio 2023. Assunti a inizio 2021 e già prorogati quattro volte a causa della strutturale carenza d’organico, fino all’ultimo hanno contato su una soluzione. Del resto, li rassicuravano dipendenti e funzionari delle prefetture, “il Viminale è famoso per essere “il ministero dell’ultimo secondo“”. Stavolta è andata diversamente. E non si tratta solo del destino degli ennesimi precari sedotti, formati e abbandonati dalla Pubblica amministrazione. “Su 19 mila domande per l’emersione lavorativa presentate alla prefettura di Napoli nel 2020, la metà deve ancora essere lavorata”, spiega Angela, 28 anni, tra i somministrati dell’agenzia Manpower “prestati” alla prefettura del capoluogo campano. “Eravamo in venti e adesso c’è una sola persona a occuparsi di circa 9 mila pratiche”. Così per il decreto flussi che a Napoli ha registrato il record nazionale: “12 mila domande, ma le convocazioni sono ancora tutte da fare e anche in questo caso non rimane che un operatore”. Dodicimila a uno.

Voluto nel 2020 dalla ministra delle politiche agricole alimentari e forestali del secondo governo Conte, Teresa Bellanova, con l’obiettivo di regolarizzare lavoratori domestici (85% delle richieste) e agricoli, a tre anni di distanza il decreto sull’emersione ancora impegna le prefetture. Secondo i dati del ministero dell’Interno, a novembre un quarto delle 220 mila domande presentate entro il termine del 15 agosto 2020 erano ancora in fase istruttoria, tanto che nel frattempo si sono moltiplicati i contenziosi, compresi i ricorsi collettivi in Lombardia e Lazio presentati da diverse associazioni per i diritti e ormai prossimi alla prima udienza. Perché in questo caso i tempi della burocrazia hanno condannato al limbo giuridico migliaia di lavoratori stranieri e i relativi datori. La mole di lavoro era chiara fin dall’inizio ed è per questo che a marzo 2021 i 582 interinali della Manpower sono entrati nelle prefetture. Dovevano restare per 6 mesi e invece sono stati prorogati più volte, compreso il rinnovo per supportare gli Sportelli unici per l’immigrazione alle prese con l’emergenza dei profughi ucraini e, nell’ultimo anno, con il decreto flussi 2021 per l’ingresso di 70 mila lavoratori extra Ue. Percorso simile a quello dei 408 interinali assegnati alle questure e alle commissioni territoriali per occuparsi di asilo e protezione internazionale. Ma se per loro la soluzione è arrivata in tempo, con l’annuncio di una nuova gara e la garanzia della continuità lavorativa, per le prefetture non si è mosso nulla. “Ho provato a chiamare il ministero per capire, ma non c’è stato modo, nemmeno una parola”, racconta Ilaria, 28 anni, assistente sociale e mediatrice familiare e fino al 31 dicembre impegnata alla prefettura di Lucca. “Alla fine abbiamo saputo a cose fatte, il pomeriggio del 2 gennaio, quando il lavoro lo avevamo già perso”.

Per quel lavoro sono tornati a manifestare in questi giorni, in attesa di fissare una data per il presidio nazionale che li raccoglierà in piazza santi Apostoli a Roma. E intanto raccontano le condizioni in cui hanno lasciato gli uffici dove hanno lavorato per due anni dopo essere stati formati dai dipendenti ministeriali, gli stessi che hanno affiancato e che ora si trovano ad affrontare un lavoro enorme. “A Lucca eravamo in tre interinali, oltre a una collega ministeriale che adesso rischia di dover gestire i contenziosi sulle pratiche dell’emersione, i ricongiungimenti familiari che qui sono una mole impressionante e i decreti flussi”, spiega Ilaria. “Farò quello che posso, poi non sarà colpa mia se chi rimane fuori farà ricorso per inadempienza, ci ha detto negli ultimi giorni di lavoro assieme”. A Pescara ha lavorato Valeria, 29 anni. “Non siamo mai stati tranquilli, i precedenti rinnovi sono sempre arrivati all’ultimo, anche alle nove di sera dopo l’ultimo giorno di lavoro”, racconta pensando soprattutto ai colleghi più anziani, con più di cinquant’anni e figli a carico. La Corte dei conti aveva negato la possibilità di rinnovare ulteriormente lo stesso contratto, ne serviva un altro e quindi una nuova gara. “Visti i precedenti e la quantità di lavoro, tutti credevano che la soluzione sarebbe arrivata, compresi funzionari e dirigenti e infatti ci è stato detto di non fare alcun passaggio di consegne ai colleghi ministeriali”, spiega la lavoratrice e rappresentante sindacale in azienda per la Nidil Cgil. “A Pescara abbiamo terminato in tempo il lavoro sull’emersione e sono stata assegnata ad altre mansioni e più volte ho sostituito i colleghi in totale autonomia, gestendo l’ufficio da sola anche per più settimane”.

L’epilogo della vicenda Valeria lo sintetizza così: “Contavo si potesse ragionare della difficoltà su ambo i lati, perché la Pubblica amministrazione e noi abbiamo fatto uno sforzo formativo che dal lato della PA è disperso e dal lato nostro non è spendibile: a chi vado a bussare per rivendere la mia esperienza? Posso fare la concorsista, prepararmi per gli esami mentre mi chiedo come pagare l’affitto. Ma che senso ha se dalle prefetture c’è chi ha scritto lettere, dai dirigenti agli stessi prefetti, per avvertire che gli uffici rischiano di chiudere senza di noi”. Le stesse lettere che Matteo Piantedosi inviava al Viminale quando era prefetto di Roma e prima di diventare il nuovo ministro dell’Interno. Invece il governo non ha nemmeno bandito la gara per quelle 300 unità già finanziate in legge di bilancio. Che non garantiscono i 582 interinali, ma almeno in parte potevano tamponare una situazione drammatica soprattutto in città come Roma, Napoli e Milano, dove si concentra la maggior parte delle pratiche sull’emersione ancora in sospeso e non solo. Giovanna, 30 anni, ha lavorato a Milano. Una scelta precisa la sua, dopo la laurea in Scienze politiche e un master sull’immigrazione. “Sarà difficile poi restare in questo mondo, senza nemmeno un riconoscimento della formazione e del lavoro fatto finora da presentare qualora bandissero i tanti attesi concorsi”, commenta. Dietro di lei, intanto, lascia macerie.

“Milano ha raccolto da sola il 10% delle domande per l’emersione, con 27 mila pratiche. Ma solo la metà sono state lavorate”. E adesso chi lo farà? “Eravamo 15 interinali per un totale di 17 persone addette, ora ne rimangono due“. Per rendersi conto delle conseguenze consiglia di passare davanti alla prefettura di corso Monforte, in pieno centro: “Lo sportello per l’emersione semplicemente non c’è, e a domanda rispondono che attualmente non ci sono appuntamenti, quando fino al 31 dicembre ognuno di noi ne aveva 15 o 20 a testa“. Anche a Milano nessun passaggio di consegne: tutti convinti che dal Viminale sarebbe arrivata una soluzione. “A chi chiede informazioni viene detto che al momento nessuno può occuparsi della sua pratica. E parliamo di domande che sono costate 500 euro a chi le ha presentate, per non parlare del forfait versato per i mesi di lavoro irregolare autodenunciati”. E conclude: “La discontinuità lavorativa che riguarda anche noi non solo crea precariato, che guarda caso deve far emergere altre precarietà, ma continua a crearne sprecando formazione che andrà rifatta da zero”.

Anche a Roma, di 17 mila pratiche ne mancano ancora 8.300. E così a Napoli, dove erano 19 mila e si è superata di poco la metà. Scaduto il contratto dei 20 interinali, in prefettura è rimasta una sola persona a occuparsi dell’emersione. Ma a Napoli il record nazionale riguarda le domande per il decreto flussi 2021, dodicimila. “C’è un limite di tempo per attivarle e l’estate scorsa abbiamo dovuto fermare tutto il resto del lavoro e occuparci di quelle, ma solo per inviare alle ambasciate i nulla osta perché potessero rilasciare i visti d’ingresso per i lavoratori stranieri che devono entrare in Italia”. E poi? “E poi queste persone e i rispettivi datori vanno tutti convocati e c’è una sola persona”. Anche a Napoli fioccano i ricorsi, “perché la PA non riesce a gestire questi numeri e incorre in soccombenze”. Ben prima dei risarcimenti, spiega Angela, “ci sono i contributi e le tasse che in questi anni i lavoratori regolarizzati avrebbero potuto versare allo Stato, che pure con loro ha fatto cassa grazie ai tributi versati per fare domanda, ma poi ha lasciato queste persone nella clandestinità, magari costrette ad arrangiarsi con tutto quello che ne deriva”. E se lasci passare tre anni la promessa di assunzione di un datore può venir meno, “come è già successo”. Problemi che sommati tra loro definiscono il prezzo di una pubblica amministrazione sempre più in sofferenza d’organico e malata di precarietà al punto da contagiare chi ha bisogno dei suoi servizi.

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