Per il gasolio il peggio deve probabilmente ancora arrivare. E il problema delle accise destinato a diventare più incandescente di quanto già non sia ora. A differenza della benzina, utilizzata per lo più dalle auto, il gasolio è il carburante “che muove il mondo”. Oltre alle automobili alimenta camion, macchine industriali e per l’agricoltura oltre ad altri mezzi di trasporto. A partire da febbraio l’embargo occidentale nei confronti della Russia si estenderà ai prodotti petroliferi raffinati tra cui il principale è, appunto, il gasolio, di cui Mosca era e rimane un grande esportatore. L’embargo renderà più complicato fare arrivare il diesel russo in Europa e in Italia pur senza prosciugare i flussi. È verosimile, come già accade ora in una certa misura, che il petrolio russo venga inviato in paesi come l’India e qui raffinato per spedire poi il gasolio “ripulito” sui mercati occidentali, con un conseguente aggravio dei costi. Probabilmente si ricorrerà anche a pratiche più borderline come quella di miscelare gasoli di varia provenienza in aree fuori dall’Ue (sistema già usato nei mesi scorsi da alcune petroliere) per occultare la componente russa. Mosca può inoltre contare su una flotta di “navi fantasma”, la cui proprietà non è riconducibile alla Russia e che potrebbero essere usate per aggirare l’embargo. Sta di fatto che, secondo quanto scrive l’agenzia Bloomberg, l’Unione europea dovrà in qualche modo rimpiazzare circa 600mila barili al giorno di gasolio importato dalla Russia. L’embargo non sarà indolore per il Cremlino, sebbene le stime sulle ricadute siano piuttosto incerte. Alcuni analisti calcolano che Mosca dovrà reindirizzare fino ai due terzi delle sue esportazioni di diesel.

A dover trovare approvvigionamenti alternativi sono però anche le raffinerie europee, specie tedesche, che sinora si affidavano in larga misura alle forniture russe. L’embargo piomba per di più su un comparto già da tempo sotto pressione anche a causa del calo degli investimenti. Le politiche e i finanziamenti spingono tutti verso lo sviluppo di rinnovabili e questo fa sì che i produttori siano restii ad impegnarsi nello sviluppo di nuova capacità di raffinazione. Altre incognite sono il prezzo della materia prima, il petrolio, legato anche alle prospettive della crescita economica globale che ne determinano la domanda. Negli ultimi due mesi e mezzo il costo del greggio è sceso del 15% passando da poco meno di 100 a 85 dollari al barile. Questa discesa si è traslata sulla componente industriale del costo di benzina e gasolio, a loro volta diminuito (sebbene il beneficio per gli automobilisti sia stato totalmente vanificato dalla piena reintroduzione delle accise decisa dal governo Meloni). Tuttavia solo lo scorso luglio un barile veniva scambiato a quasi 110 dollari e, soprattutto se la frenata economica dovesse risultare meno marcata rispetto alle attese, non è impossibile che le quotazioni riprendano a salire. In un’ intervista rilasciata al Corriere della Sera il presidente di Nomisma energia (centro studi non distante dall’industria petrolifera, ndr) Davide Tabarelli ha affermato che “I prezzi dei carburanti oggi sono bassissimi; non oso pensare cosa potrebbe accadere quando il prezzo del petrolio salirà, sono spaventato. Io mi aspettavo arrivassero a 2,6 euro al litro. Invece il prezzo del greggio è ancora contenuto e quindi gli aumenti senza il taglio delle accise sono stati mitigati”.

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