Ci risiamo. Rai Fiction propala, ancora, pregiudizi contro le donne che denunciano violenze raccontando la storia di una calunnia per stupro. Questa volta si tratta della soap opera Un posto al sole, che dal 5 gennaio scorso, negli episodi che raccontano le vicissitudini e i tormenti del palazzo Palladini, mette in scena il dramma del giovane Nunzio diffamato dalla diciottenne Alice, tanto “disinvolta” sessualmente quanto “isterica” e “viziata” (così viene raccontata negli episodi), che lo accusa di stupro per spirito di vendetta. Tutto secondo il copione degli stereotipi sulle donne che denunciano violenze sessuali o maltrattamenti.

Nel febbraio del 2021 l’editoriale indipendente Aestetica Sovietica si era rivolta ai vertici di viale Mazzini perché per ben tre volte in un mese le tre principali fiction trasmesse da Rai Uno – Mina Settembre, Le indagini di Lolita Lobosco e Che Dio ci aiuti – avevano messo in scena storie di donne che inventavano stupri e maltrattamenti. Aestetica Sovietica aveva stigmatizzato la narrazione sulla violenza con queste parole: “Quella che poteva sembrare una coincidenza appare sempre più come un disegno politico, o quantomeno come un retaggio culturale imperdonabile in un Paese che già fa molta fatica a credere alle violenze sessuali. Adesso basta. Pretendiamo spiegazioni. Queste coincidenze sono imperdonabili. Non tollereremo della retorica spicciola il prossimo 8 marzo”.

Ma oltre la retorica spicciola ci sono le testimonianze delle donne che svelano violenze. Alcune portano il peso di traumi mai elaborati e violenze mai svelate. Molestie sessuali subite nell’infanzia, da parenti o amici di famiglia, o stupri commessi da partner, o dall’amico che tradisce la fiducia; molte tacciono consapevoli del rischio di subire un processo nel processo fatto di umiliazioni e sospetti. Altre affrontano i processi consapevoli che per l’uomo che hanno denunciato vige la presunzione di innocenza, ma per loro vige la presunzione di menzogna. E poi ci sono le narrazioni tossiche dei media, le gogne sui social contro le vittime e lo stigma sociale che spinge alcune a lasciare le città dove hanno sempre vissuto dopo la conclusione dei processi per stupro.

Solamente il 27% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza denuncia maltrattamenti e ancora meno sono quelle che denunciano stupri. Secondo la più recente indagine Istat, 2 milioni e 400mila donne hanno subito violenze sessuali, ma è infinitesimale il numero di quelle che denunciano. Il report realizzato da Dire “La vittimizzazione istituzionale” presentato a Verona il 19 novembre 2022 ha rilevato quanto siano difficili i percorsi di uscita dalla violenza delle donne.

Dobbiamo indignarci per la narrazione che Rai Fiction veicola da anni rivolgendosi a un vastissimo pubblico che non potrà mai essere raggiunto dalle attiviste impegnate contro la violenza. Ci sarà mai una fiction che racconterà delle condanne (sette) che l’Italia ha ricevuto dalla Cedu – Corte Europea dei diritti umani – per non aver tutelato adeguatamente vittime di violenza?

Nel procedimento J.L contro Italia (27 maggio 2021), la Cedu scrisse che “il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello trasmettono i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e sono suscettibili di impedire l’effettiva protezione dei diritti delle vittime di violenza di genere . Il nostro Paese ha ricevuto anche un’altra condanna in tema di violenza sessuale da parte del Comitato della Cedaw per la violazione degli articoli 2, 3, 5 e 15 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne. Il caso riguardava una donna che, già vittima di violenza domestica, aveva denunciato lo stupro dell’agente delle forze dell’ordine incaricato di svolgere indagini sull’ex marito. L’imputato era stato assolto perché i giudici avevano ritenuto che la denuncia per stupro fosse scaturita da vergogna e desiderio di vendetta della donna.

Il Comitato Cedaw, invece, ha stigmatizzato: “Gli stereotipi e pregiudizi di genere nel sistema giudiziario hanno conseguenze di vasta portata sul pieno godimento dei diritti umani da parte delle donne. Distorcono le percezioni e portano decisioni basate su credenze di preconcetti piuttosto che su fatti rilevanti. Gli stereotipi influiscono anche sulla credibilità delle voci, delle argomentazioni e delle testimonianze delle donne come parti e testimoni. Questi stereotipi possono indurre i giudici a interpretare o applicare in modo errato le leggi”.

Anche la Commissione sul femminicidio presieduta dalla senatrice Valeria Valente ha portato alla luce le criticità del sistema giudiziario in tema di violenza contro le donne, individuando nei pregiudizi l’inadeguatezza delle risposte a tutela delle vittime. Ma questa realtà difficilmente sarà raccontata dalla televisione di Stato o delle reti Mediaset, che recentemente hanno presentato un maltrattamento come se fosse una relazione d’amore, normalizzando la violenza (C’è Posta per Te).

La televisione potrebbe contrastare i pregiudizi sessisti con una corretta informazione e anche con le fiction. Invece le scelte dei vertici Rai, con superficialità, si focalizzano sulla narrazione di calunnie, gettando ombre sulle donne che svelano la violenza. Come se la normalità fosse dettata da donne che calunniano: ed è questa la menzogna.

@nadiesdaa

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