1998. Con la sentenza 1636, la Cassazione annulla la condanna a un istruttore di guida colpevole di violenza sessuale nei confronti di una propria allieva. Perché? Perché la donna indossava dei jeans e la Corte ritenne che “è quasi impossibile sfilare, anche in parte, jeans ad una persona senza la sua fattiva collaborazione”.

1999. Inizia il calvario di Anna Maria Scarfò, 13 anni. A San Martino di Taurianova, in Calabria, comincia a subire abusi. Stupri, botte e maltrattamenti. Per 2 anni. Aveva cercato aiuto Anna Maria, ma nessuno le aveva teso la mano. Il parroco don Antonio Scordo le diceva: “non puoi fare uno scandalo”. Quattro degli aguzzini vengono condannati in via definitiva, ma il paese continua a pensare che Anna Maria sia una “puttana”. Risultato? Anna Maria è dovuta scappare: inserita in un programma di protezione speciale, come quelli riservati ai testimoni di giustizia, vive in una località protetta.

2007. In otto abusano selvaggiamente per 3 ore di una ragazzina che all’epoca ha solo 15 anni. Gli otto erano poco più grandi. A Montalto di Castro, dinanzi alle telecamere di Canale 5, alcuni abitanti spiegano: “aveva la minigonna”. I processi partono. Ma, pur ritenendo il racconto della donna “del tutto veritiero”, le condanne non arrivano. Lei, figlia di una stiratrice e di un camionista siciliani emigrati, si scontra contro otto giovani di classe agiata, con famiglie abbienti e un’ottima reputazione. Il sindaco del Paese, del Pd, mette 40mila euro a disposizione della difesa dei violentatori. “Messa alla prova”, si dice. E così dispongono i giudici nel 2009. Fallita, se è vero, che durante quel periodo uno degli otto viene arrestato per stalking contro la fidanzata.

2015. In appello la Corte ribalta la sentenza di primo grado: i sei che erano stati condannati per violenza ai danni di una ragazza di 23 anni, avvenuta in un’auto all’esterno della Fortezza da Basso, vengono assolti. “Il fatto non sussiste”.

2022. In appello la Corte ribalta la sentenza di primo grado e assolve un uomo precedentemente condannato a 2 anni, 2 mesi e 20 giorni. L’uscio socchiuso del bagno, per i giudici, è “un invito ad osare”; la zip dei pantaloni si rompe perché di “scarsa qualità”, non per la violenza. E, poi, lei era “sbronza e con crisi di panico”.

2022. In Abruzzo l’ex primario Giuseppe Sabatino viene assolto dall’accusa di stupro: “Colpa degli effetti collaterali di un farmaco contro il parkinson”. Ben 9 donne avevano denunciato che il medico aveva provato a baciarle e palpeggiarle quando portavano i bambini a visita.

2022. Il tribunale di Busto Arsizio assolve un sindacalista accusato di molestie nei confronti di una hostess. Perché? Perché la donna ha impiegato “troppo tempo” per reagire. Basta un’esitazione di 20 secondi e non è più violenza.

In Spagna il 7 settembre è entrata in vigore la Ley Integral de Garantía de la Libertad Sexual (“Legge Integrale di Garanzia della Libertà Sessuale”), meglio conosciuta come “Solo sì è sì”. La norma, frutto del lavoro del Ministero dell’Uguaglianza diretto da Irene Montero – in questi giorni sotto il fuoco di una schifosa violenza politica, simbolica e mediatica di carattere machista e sessista – ha per obiettivo il cambio del paradigma sulla cui base si giudicano i delitti sessuali.

In particolare, chiave è l’aver posto il “consenso” al centro della norma. Perché ribalta la logica attuale. Oggi, come si nota dai diversi casi riportati sopra, è la vittima a dover provare che effettivamente ha opposto resistenza all’aggressore. Questa logica lascia spazio alla barbarie delle porte socchiuse come inviti a osare o dei jeans sfilati come prova della disponibilità al rapporto o, ancora, del dover cronometrare quanti secondi sono passati prima di un urlo, di una reazione fisica per comprovare che ci sia stata effettivamente violenza sessuale.

Qualche giorno fa un’amica che ha sporto denuncia per stalking, mi ha raccontato quanto sia stato difficile deporre in tribunale le domande del giudice sono partite con un “è sicura di voler portare avanti la denuncia?” e sono proseguite con interrogativi di questo tenore: “non è che ha dato qualche segnale di apertura, qualche rinforzo positivo?”. Ce ne sono migliaia di casi come questo che non arrivano alle cronache dei giornali.

Per questo una legge sul modello della “Solo sì è sì” di Podemos e Irene Montero è tanto necessaria anche nel nostro Paese. Una legge che anche qui dica con chiarezza che violenza se non se c’è resistenza all’aggressione, ma se manca il consenso dell’altra persona. E che reciti che “si intende che ci sia consenso solo quando si sia manifestato liberamente mediante atti che esprimano in modo chiaro la volontà della persona”.

Anziché tweet in cui nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne si diffonde ai quattro venti il proprio amore per l’altra metà del cielo, introdurre una norma di civiltà nel nostro ordinamento varrebbe forse un’agenzia Ansa in meno, ma tanto in più nella vita quotidiana, materiale e culturale di milioni di persone nel nostro Paese.

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