Quasi quindici anni, in due parentesi, trascorsi a respirare calcio e futuro nel settore giovanile dell’Empoli. Nel mezzo due esperienze in Cina, tra Guangzhou e nazionale cinese, fianco a fianco con mostri sacri del nostro calcio come Marcello Lippi e Fabio Cannavaro. E adesso un presente da consulente di agenzie e società sportive. Quella di Andrea Innocenti, scout internazionale sempre pronto a saltare su un aereo per inseguire il talento in giro per il mondo, è una vita consacrata al calcio. Alla vigilia di un anno in cui il calcio giovanile tornerà finalmente a pieno regime dopo la pandemia, con il clou dei Mondiali Under 20 e quelli Under 17 in programma tra maggio e dicembre, ilfattoquotidiano.it lo ha intervistato per capire meglio in cosa consiste il suo mestiere, e come sia cambiato con l’avvento delle nuove tecnologie.

Come è iniziata la sua avventura in questo mondo?
Io ho iniziato quasi per gioco nel 1995, ma due anni più tardi è diventato un lavoro vero e proprio. All’epoca avevo solamente 21 anni. Ho fatto il primo periodo come osservatore per il settore giovanile dell’Empoli, quando il direttore era Fabrizio Lucchesi. Poi sono sempre rimasto in quell’ambiente, rivestendo diversi ruoli sempre in ambito scouting, fino a quando sono entrato nello staff di Marcello Lippi, seguendolo nella sua avventura cinese, prima al Guangzhou e poi sulla panchina della nazionale.

Cosa ricorda di quel periodo in Cina?
Io ho fatto una stagione e mezza, lavorando sia con Lippi che con Fabio Cannavaro, subentrato sulla panchina del Guangzhou quando Marcello decise di passare dal campo alla scrivania per fare il direttore tecnico. Noi ci interfacciavamo quasi esclusivamente con il Ministero dello Sport. Con Cannavaro ricordo che, quando fummo esonerati, eravamo secondi in classifica ad un punto dalla prima e ci eravamo appena qualificati per i quarti di finale di AFC Champions League (la Champions asiatica, ndr). Dopo di noi arrivò il brasiliano Scolari e completò il lavoro, conquistando la Champions.

Che differenza c’è tra lo scouting per un club e quello per una nazionale?
Cambia fondamentalmente soltanto il bacino da cui poter attingere, ma dipende molto anche dalla nazionale. Per esempio, in Cina il livello del calcio è molto più basso rispetto a quello dei Paesi vicini come Giappone e Corea del Sud. C’è un motivo, o almeno c’era, vista l’aria di smantellamento che da un po’ di tempo tira intorno al calcio cinese: i giocatori guadagnavano tanto e tendevano a rimanere in patria. Insomma, non avevano stimoli, in questo caso economici, per andare in Europa, misurarsi in un contesto più competitivo e crescere sotto un punto di vista calcistico.

Ed è qui che in vostro soccorso arrivavano le naturalizzazioni.
Esatto. Ai tempi, in Cina, avevamo avviato un percorso di naturalizzazione che coinvolgeva quattro o cinque giocatori, tra cui il brasiliano Elkeson. Devo confessare, però, che personalmente sono stato sempre scettico nei confronti di questa pratica, o meglio nei riguardi del suo uso smodato, anche se chiaramente un giocatore come Elkeson ci faceva molto comodo da un punto di vista squisitamente tecnico.

In quanti continenti ha viaggiato? E In quali Paesi è stato più volte?
Ho viaggiato in tutti i continenti, tranne l’Oceania: mi manca solo quella al momento. Per far capire: nel primo periodo di Empoli, lo scouting estero era una cosa ancora molto poco praticata, direi che quasi non esisteva. Ce lo siamo inventati con un mio collega, creando una struttura e coinvolgendo diverse figure del settore. All’epoca non c’era quasi nulla in video e quindi viaggiavamo spesso, da un continente all’altro, allacciando contatti con le istituzioni calcistiche dei vari luoghi in cui andavamo. Uno dei primi tornei ai quali ho assistito, per farti capire, è stato la Coppa d’Asia Under 16 del 2007. Ma il Sudamerica, Uruguay in particolare, e l’Africa, in special modo la Costa d’Avorio, sono i continenti in cui sono stato più volte. Sono posti ideali per chi, come me, ama viaggiare e vivere un luogo e la sua cultura anche al di fuori dall’ambito strettamente calcistico.

Quali sono i tornei giovanili che segue maggiormente?
Chiaramente seguo tutte le competizioni giovanili, o in video grazie all’ausilio delle nuove piattaforme o direttamente dal vivo. Poi, ovvio, assisto con un pizzico di attenzione in più a tornei come la Coppa d’Africa U17 e U20, rispetto al Sudamericano delle stesse fasce d’età, per motivi che potrai facilmente intuire: le competizioni giovanili sudamericane, infatti, sono pesantemente setacciate dagli scout dei top team europei. Insomma, per gli altri si tratta di un target già abbastanza fuori mercato.

In cosa trovi cambiato lo scouting rispetto al passato? I nuovi strumenti, come la data analyst, possono essere un valido supporto all’osservatorio?
Guardi, sicuramente aiuta, perché avere materiale video in tempo reale è naturalmente un enorme vantaggio rispetto al passato. Ma non è sufficiente. Se uno pensa di voler fare questo lavoro guardando solo partite in video, secondo me è fuori strada. Ci sono troppi aspetti, e non parlo di cose squisitamente calcistiche, che è possibile catturare solo con la cara, vecchia osservazione dal vivo. Per cui ben venga la tecnologia, che però deve rimanere solamente un valido supporto allo scout, integrando l’osservazione diretta e non cercando di sostituirsi completamente ad essa. È importante avere il quadro più completo possibile, specialmente quando proponi un investimento ad una società.

Ci può fare qualche esempio.
Le racconto una storia. Nel 2007, dopo averlo visionato durante il Campeonato Sudamericano riservato agli Under 20, riuscimmo a portare Gastón Brugman all’Empoli. Fu un grande colpo: a Brugman, che in quel periodo era uno dei ragazzini sudamericani più chiacchierati in assoluto, si era interessato persino il Real Madrid. Ma, prima di portare a termine l’affare, ricordo che ci interfacciammo lungamente anche con la famiglia del giocatore in un hotel di Asunción, in Paraguay, la sede di quel torneo. Una cosa fondamentale per cogliere appieno tutte le sfumature di un calciatore, in particolar modo quelle extracalcistiche, che puoi fare solamente recandoti sul posto e parlando con il diretto interessato e il suo entourage.

Si sente parlare molto spesso di parametri biometrici (ad esempio l’altezza) come uno dei criteri-guida usati dagli scout e dai direttori sportivi per selezionare i giovani calciatori, specie in Italia. È vero oppure si tratta di un falso mito?
Non sempre, ma purtroppo in molti casi è vero. Certo, dipende molto anche dai ruoli, ma di sicuro l’abuso è sempre un qualcosa di deleterio. Per quanto mi riguarda, nel mio piccolo, al primo posto metto sempre la tecnica come discriminante fondamentale. Tutto il resto viene dopo.

Qual è il giocatore che hai scoperto che ti ha dato più soddisfazione?
Beh, non ce n’è solamente uno. Ti cito tre esempi su tutti: Samuele Ricci, Mattia Viti e Kristijan Asllani. Li abbiamo presi all’Empoli che erano praticamente bambini, provenienti da piccole scuole calcio della provincia. Anche per questo motivo, con loro si è creato da subito un rapporto molto speciale e profondo, che va ben oltre il calcio, e che continua tuttora.

E qualche rimpianto?
Sicuramente tanti, ma anche questo è un aspetto che fa parte del gioco. Ne rivelo due, tra i grandi che ho. Il primo è Oblak, il portiere sloveno dell’Atletico Madrid, che a 16 anni è stato vicinissimo a firmare con l’Empoli. L’altro, molto più recente, è Mohammed Kudus. Dopo averlo attentamente visionato durante le qualificazioni alla Coppa d’Africa U20, proposi il suo acquisto all’Empoli, ma la società toscana non riuscì a trovare l’accordo definitivo con il club di appartenenza del talento ghanese, che oggi fa le fortune dell’Ajax.

Il 2023 segnerà il ritorno in grande stile del calcio giovanile dopo il periodo pandemico. Hai già in agenda il prossimo viaggio?
Certo, in Algeria, a inizio gennaio, per assistere al CHAN, il Campionato delle Nazioni africani riservato solamente ai calciatori che militano nelle varie leghe africane.

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