I piccoli imprenditori si domandano spesso: “Perché non riusciamo a fare di meglio con l’innovazione?”.

La sfida per produrre nuove idee e ricavarne degli utili è diversa da azienda ad azienda. Ma la tipicità di quanto avviene nelle piccole imprese è paradigmatica di un modello che non tiene conto della cosiddetta “catena del valore dell’innovazione”. Essa è formata dalle tre fasi principali dell’innovazione (la generazione dell’idea, la conversione in prodotto e la diffusione di questi prodotti e di queste pratiche). Non utilizzando questo quadro di riferimento, i piccoli imprenditori non acquisiscono una visione completa dei loro sforzi di innovazione. Non possono identificare i punti più deboli e adattare le best practice nel modo migliore per rinforzarli. Tante idee, tanti sforzi, pochi risultati. E non è solo un problema di finanziabilità delle idee.

Le aziende di norma soccombono di fronte a uno dei tre scenari relativi agli “anelli deboli della catena”: possono essere o scarsi nelle idee, o deboli nella fase di conversione o, ancora, poco efficaci nella diffusione di questi prodotti e di queste pratiche. Dove sbagliano? I piccoli imprenditori non hanno una visione end to end dei loro tentativi d’innovazione. Quando, infatti, osservano la propria azienda dal punto di vista del valore dell’innovazione, iniziando una analisi di tutti gli anelli della catena, rimangono poi sorpresi da quanto riescono a capire.

Ad esempio alcuni imprenditori con cui abbiamo lavorato sono stati spesso frettolosi nel sottolineare i punti di forza in termini di innovazione: “Siamo davvero creativi”; “Siamo bravissimi a sviluppare prodotti velocemente”. Forse, ma queste cosiddette “forze d’innovazione” possono in effetti portare a debolezze nel processo se non sono bilanciate da altrettante forze in altre aree. Non riuscendo a riconoscere, in questo caso, l’anello debole della catena (la selezione delle idee), e concentrando più tempo e risorse su un altro anello più forte (la generazione delle idee), l’imprenditore riesce solo a indebolire gli sforzi di innovazione di tutta la società.

I manager-imprenditori devono smettere di investire tutti i loro sforzi nel migliorare le loro capacità innovative e concentrarsi invece a risolvere le debolezze. Infatti, l’esperienza suggerisce una equazione: la capacità di un’azienda di innovare è pari alla massima debolezza nella sua catena innovativa.

Fatta questa premessa, possiamo quindi inquadrare le piccole imprese, in termini di “anello debole” dell’innovazione, in due grandi modelli.

Il primo è l’azienda povera di idee, che spende tanto tempo (e denaro in tempo-lavoro) nello sviluppo e nella diffusione di idee mediocri che si riflettono poi in mediocri prodotti e profitti. Il problema, in questo caso, non è nell’esecuzione ma nella generazione delle idee.

Perché queste aziende soffrono della mancanza di idee nuove e valide? Il motivo fondamentale è dovuto alla carenza di network adeguati: imprenditori-manager (laddove esistono) che falliscono nell’intento di creare collegamenti di qualità con altri fuori dall’azienda. Oppure persone che preferiscono parlare con colleghi vicini invece di raggiungere quelli di altre divisioni. Per generare idee da nuovi rapporti, queste aziende devono costruire network esterni, interni ed incrociati perché, di solito, hanno grande attenzione per ciò che si trova a portata di mano.

All’opposto vi è l’azienda con problemi di conversione, con molte buone idee che non vengono valutate e adeguatamente elaborate dagli imprenditori-manager. E’ veri che, in questo caso, le idee muoiono nei processi di finanziamento, che pongono l’enfasi sull’incremento e sul dato certo, non sulla novità. In molte società, le limitazioni di budget, un modo di pensare convenzionale e rigidi principi di finanziamento si uniscono per bloccare molte idee nuove. Ma l’effetto collaterale è ancora più dannoso: i dipendenti recepiscono immediatamente il messaggio e il flusso delle idee si esaurisce. Non solo ma, in questo secondo modello, talvolta i piccoli imprenditori adottano l’approccio da me definito “mille fiori”, lasciando che le idee fioriscano dove possibile ma senza mai portarle avanti. Qui vi è bisogno di una migliore capacità di analisi delle idee, non di meccanismi migliori nella generazione delle idee stesse.

Indipendentemente da come si cercano e si finanziano, le idee devono comunque essere trasformate in prodotti, servizi e processi che producano reddito.

La quantità e la diversità delle persone coinvolte, tuttavia, possono creare un’avversione al rischio e un processo burocratico che ostacola l’esecuzione fino a fermarla. Come mi ha detto un giovane imprenditore di una società di servizi health care: “Se voglio una buona idea da mettere sul mercato rapidamente, ne assumo personalmente il controllo e la guido nel sistema. Se voglio uccidere un’idea, la inserisco nel processo formale di decisione”.

In tal caso c’è bisogno di creare meccanismi per far circolare i nuovi concetti, usando i colleghi e i consulenti “catalizzatori” che si fanno portavoce della “idea evangelica”. In altri termini occorre qualcuno che diffonda la “buona novella” su un prodotto o un business emergente. I migliori evangelisti usano regolarmente le proprie skills e le proprie reti di rapporti personali per accrescere la consapevolezza tra i dipendenti e convincerli ad adottare un nuovo prodotto o concetto di business.

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