“Un settore che si regge sullo sfruttamento, sul lavoro gratuito, sui compensi da 3 euro all’ora per i turni notturni, niente riposi”. A parlare a ilfattoquotidiano.it è Giulia (il nome è di fantasia, ndr) che lavora come medico veterinario. In Italia questo settore è tra quelli che presenta le condizioni professionali e retributive più drammatiche: una gavetta post-laurea che sembra non avere mai fine, tra tirocini gratuiti senza soluzione di continuità anche dopo l’abilitazione, notti pagate 3 o 5 euro all’ora in partita Iva, turni insostenibili e compensi irrisori che spesso portano i giovani medici ad abbandonare la professione o a emigrare in Paesi in cui questo lavoro viene retribuito dignitosamente. “Ci sono addirittura cliniche private che chiedono di essere pagate per farti fare il tirocinio e fanno risultare che quella somma è destinata al pagamento dell’affitto di una postazione – continua Giulia – Ho fatto notti da 12 ore pagate 30 euro, 60 quando ero fortunata. Tutti sanno come funziona, l’ordine ne è consapevole, ma nessuno fa nulla per cambiare. Perché non c’è volontà”.

I proprietari di animali domestici lo sanno bene: le prestazioni delle cliniche veterinarie hanno prezzi molto alti ma, nonostante questo, i medici veterinari che collaborano con queste strutture sono spesso tirocinanti vessati e sfruttati. Paghe misere, che a stento raggiungono i 500-800 euro al mese lordi rigorosamente in partita Iva, stagisti lasciati da soli a gestire interi pronto soccorso di notte, turni massacranti che arrivano anche a 20 o più notti al mese, oltre alle reperibilità nel weekend. “Propongono solo finti stage e noi il tirocinio lo facciamo già durante gli anni universitari, prima di laurearci e abilitarci alla professione – è il racconto di Giulia – Ci sono cliniche che impongono turni da 12 ore o anche da 24 ore di seguito, inizi la mattina alle 9 e te ne vai il giorno successivo alle 9 del mattino. Tu firmi formalmente un contratto da libera professione che non menziona le ore che dovrai fare, ma solo i turni che dovresti assicurare nel mese. Quando entri, però, poi ti trovi a lavorare per 7 giorni consecutivi 12 ore al giorno. Praticamente vieni pagato 3-4 euro lordi all’ora, in partita Iva. Manca personale nel settore e questi sono i motivi: i medici veterinari non vogliono più lavorare a queste condizioni”.

Pochi giorni fa, sul sito della Federazione degli Ordini Veterinari Italiani, è apparso il singolare racconto della vita di una fantomatica Marta, medico veterinario di 40 anni descritta come un modello esemplare, una donna che nonostante i tirocini e gli incessanti ritmi professionali, riesce a non arrabbiarsi con il mondo e a coniugare la vita lavorativa con quella di madre senza lamentarsi. “Marta ha avuto un bambino da pochi mesi, ha sospeso il lavoro lo stretto indispensabile per gestire fine gravidanza ed allattamento, ora ha ricominciato e nel frattempo sta finendo un percorso Cecev ed affronterà a breve l’esame”, si legge nell’articolo. Il testo ha ovviamente scatenato un vero e proprio vespaio di polemiche tra gli addetti del settore, che in massa hanno protestato attraverso i social e raccontato le degradanti condizioni professionali a cui moltissimi medici veterinari devono sottostare ogni giorno.

Non sarebbe, infatti, una vera e propria scelta, quella della maternità breve della Marta celebrata dalla Federazione, ma una vera e propria necessità per moltissime veterinarie, imposta dalle precarie condizioni della professione. I veterinari sono infatti inquadrati come liberi professionisti anche quando svolgono attività di fatto dipendente e per ottenere l’assegno di maternità da parte dell’Enpav, l’ente previdenziale del settore, è necessario raggiungere dei limiti minimi di fatturato annuale che non tutte riescono a raggiungere per i salari bassissimi e i tirocini non retribuiti. Susanna è sposata, ha più di 35 anni e ha il terrore di rimanere incinta anche se un figlio lo vorrebbe, come la Marta celebrata dalla Fnovi. “Se dovessi rimanere incinta, non avrei diritto nemmeno alla maternità a rischio. Ci sono colleghe che lavorano fino al giorno prima del parto e tornano in clinica due settimane o un mese dopo. Dovrei tornare a lavorare, senza poter crescere mio figlio, per pagare una baby sitter che guadagnerebbe più di quanto prendo io”.

I diritti dei lavoratori, insomma, sono un optional in molte cliniche private. “La malattia non è pagata: se stai male e stai a casa non guadagni, come un libero professionista. E in più, i colleghi ti guardano pure male perché i tuoi turni devono farli loro. Non hai ferie retribuite, né 13esima, 14esima, tfr. Nulla. E lo stipendio è misero. Quando mi sono sposata, la mia titolare mi ha detto che avrei potuto prendermi due settimane di congedo matrimoniale – non pagato – ma non più di quelle. Perché? Perché altrimenti non si riescono a organizzare i turni. E questa sarebbe ‘libera’ professione?”. Una situazione endemica nel settore, che però sembra rimanere molto sottotraccia. Troppo. “Molti non denunciano perché la mentalità persistente dei ‘decani’ è che tutto questo sia normale, il sistema è funzionale. Se protesti, poi, non lavori più e questo blocca molti di noi”, spiega Susanna.

Ai racconti delle moltissime veterinarie che hanno protestato contro l’articolo su Marta si sono uniti anche numerosi colleghi uomini, non certo meno esposti al fenomeno del lavoro sottopagato e dell’infinita gavetta mal retribuita. “Io sono Carmelo – si legge in un lungo post su Facebook – e quando ho cominciato sapevo già che sarebbe stata dura, una strada in salita. Se mi ammalo, non percepisco una diaria. Non avrò mai una tredicesima né una quattordicesima. Ogni anno devo pagarmi gli oneri fiscali nella visione di una pensione pari a chi negli stessi anni non ha mai lavorato. Io non sono Marta e ad oggi faccio 24 notti, 3 week end di reperibilità, e tutte le festività, non sono speciale e nemmeno migliore, ho condizioni che non mi permettono di fare altrimenti”.

Su VetJob, il portale specializzato in annunci di lavoro per i veterinari, non è raro imbattersi in offerte di tirocinio che richiedono pregressa esperienza: una clinica di Milano, per esempio, sta cercando medici veterinari già abilitati e con almeno un anno di esperienza dopo la laurea per un tirocinio di 12 mesi. Il compenso? 1000 euro al mese, in partiva Iva, con turni notturni e reperibilità telefonica nei weekend due volte al mese. Calcolando che su 12mila euro annuali lordi, una quota va destinata alla contribuzione obbligatoria Enpav – che varia a seconda dell’anzianità di iscrizione all’albo – fin quel che rimane sono briciole e su queste briciole vanno pagate anche le tasse. E’ uno dei tantissimi esempi: nel settore si trovano anche offerte ben peggiori.

Articolo Precedente

Pubblica amministrazione, Fp-Cgil: “Servono 1,2 milioni di assunzioni”. Landini: “Nella manovra non c’è un euro per i nuovi contratti”

next
Articolo Successivo

Ex Gkn, il cantiere degli operai per il rilancio autonomo: in fabbrica si discutono modelli d’impresa per salvare i posti dopo il flop Qf

next