Sono una donna medico veterinario di 36 anni. Scrivo questo post perché da qualche giorno sul sito Fnovi, la Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani, è comparso un articolo dal titolo: “La storia di Marta e di come la prospettiva da cui guardi le cose può cambiare il risultato”. Un articolo che offende me e molte mie colleghe e colleghi, donne veterinarie, mamme e non, dove si elogia una fantomatica donna, Marta, di 40 anni, veterinaria, che è diventata mamma da poco e ha lasciato il lavoro (cito testualmente) “lo stretto indispensabile per gestire fine gravidanza ed allattamento”; si è rituffata poi nel lavoro, tra corsi, accreditamenti vari e obblighi di formazione e non si lamenta, non è arrabbiata, è felice: “è una donna energica, serena con i suoi alti e bassi ovviamente, ma che non ho mai sentito lamentarsi una volta del troppo lavoro, dei crediti da raggiungere, della vita turbolenta (cit)”.

L’articolo si conclude con una dedica a Marta: “Marta quando mi leggerai so che tra la commozione scuoterai la testa e come una canzone dirai ‘non credo di essere così importante’. Ed invece ti sbagli, perché sei un esempio per me e per molti colleghi che dovrebbero fermarsi prima di inveire sulla professione, maledire la burocrazia e la formazione continua, ma dovrebbero imparare come funziona il mondo per poi avere l’immaginazione di cambiarlo”.

Ora, è logico chiedersi cosa ci fa tanto arrabbiare di questo articolo. Cercherò di spiegarlo brevemente sperando di fare un quadro veritiero della realtà che affrontiamo noi donne libere professioniste e tutti noi medici veterinari, uomini e donne.

Affrontiamo un percorso di studi articolato e complesso della durata di cinque anni, sembra dura, ma è solo quando ci laureiamo che inizia la vera sfida. Nel mare magnum del panorama lavorativo, se hai sognato di lavorare per e con gli animali l’unica strada è la libera professione. Sì, non esiste un medico per cani, gatti, conigli, volatili, cavalli assunto con contratto: anche se lavoriamo in una grande struttura, siamo tutti liberi professionisti. La retribuzione media nazionale di chi lavora presso una struttura (piccola o grande che sia) va dagli 8 ai 15 euro lordi, che, tolte le spese di previdenza sociale e tasse, se sei fortunato ti frutta dai 5 ai 9 euro netti l’ora, non ci sono ferie pagate, malattia, maternità, permessi, in fondo siamo liberi professionisti a partita Iva.

Verrebbe da pensare che i proprietari di queste strutture veterinarie vivano ricoperti d’oro sfruttando i malcapitati che non hanno un ambulatorio o una clinica propria, ma la realtà è molto diversa. La maggior parte di loro annaspa, schiacciata dal 65% di pressione fiscale, lavora tanto quanto gli altri e non è per niente felice di passare per carnefice quando cerca solo di restare a galla e riuscire a pagare i miseri compensi che dà ai suoi collaboratori.

Il nostro non è un lavoro dove “chiudi baracca e vai a casa”: ci sono notti insonni, reperibilità, festività, straordinari molto spesso non retribuiti, weekend, casi medici complessi, tanto studio, corsi costosi che facciamo per migliorarci sempre, l’obbligo di acquisizione dei crediti formativi Ecm triennale (come per tutte le professioni sanitarie) che svolgi nel tempo “libero” e la costante battaglia con il cliente medio che difficilmente comprende che amiamo tanto il nostro lavoro ma che nonostante questo è un lavoro, ci serve per vivere e non possiamo svolgerlo gratuitamente né essere reperibili 24 ore su 24.

Ne consegue una lotta tra poveri, dove il più disperato gioca al ribasso facendo del male a tutta la categoria; è un lavoro usurante e con molti pericoli, morsi, graffi, calci, incornate e zoonosi, fanno parte del nostro quotidiano (la giovanissima Chiara Santoli ne è un triste esempio), così come il burnout che è diventato un argomento molto frequente nei webinar proposti per i veterinari. Ci barcameniamo in questo appassionante e amato mondo veterinario che è un limbo infinito, dove non abbiamo un contratto di lavoro ma di fatto abbiamo gli stessi obblighi (orari, turni e mansioni stabilite) e non le stesse tutele, un limbo che ci vorrebbe imprenditori anziché medici, dove il cuore e le scadenze, le bollette e i costi vanno in direzioni opposte.

E’ così da sempre e anche se tra noi ne parliamo e siamo tutti a conoscenza di questo panorama lavorativo distorto, non troviamo il coraggio e la forza di farci sentire, quasi ci vergogniamo di alzare la voce e chiedere condizioni migliori. Questo è il panorama del lavoro veterinario in Italia di me e di tutti i miei colleghi liberi professionisti nel territorio nazionale.

Tutto si complica se sei una donna, sì, perché magari dopo anni di gavetta, corsi, notti e weekend ad inseguire una stabilità economica e professionale che non sembra arrivare mai ti ritrovi stanca e disillusa, hai rinunciato a tanto per il tuo lavoro e all’improvviso ti rendi conto che avevi quasi dimenticato che oltre al sogno di diventare un medico veterinario volevi anche essere una mamma. Una mamma, sì, ma come? Non hai un contratto, nessuno ti tutela, se starai a casa perderai lo stipendio e il tuo ente previdenziale ti offre una maternità di 5 mesi su cui dovrai pagare le tasse e che non basterà nemmeno per tre mesi di assenza da lavoro. E quando tornerai a lavorare come farai a mantenere tuo figlio/a con 5 euro netti l’ora se dovrai fare un part time? E se dirai di no ai weekend, alle notti, alle reperibilità, agli straordinari non pagati, ti sostituiranno con qualcun altro più giovane e senza impegni familiari? E nei tuoi primi 8 mesi di gravidanza dove non potrai eseguire radiografie, maneggiare alcuni farmaci, visitare animali grandi o agitati, fare lavori di forza, sarai ancora utile? D’altronde sei un libero professionista, possono sostituirti in qualunque momento.

A meno che tu non sia la fantomatica Marta, lasciare tuo figlio a tre mesi dal parto ti strazierà il cuore, sei pronta a tornare in pista al 100%, a rinunciare al tuo tempo libero, alla cena in famiglia, alle feste comandate, come una volta, per l’emergenza di turno, per la telefonata delle 23, per il corso di aggiornamento obbligatorio serale? Sei pronta a risalire in sella dopo il tempo “stretto indispensabile per gestire fine gravidanza ed allattamento” pur di non perdere il tuo lavoro?

E’ chiaro cosa indigna me e i miei colleghi adesso? Un ente che dovrebbe tutelarci, portare avanti le nostre battaglie e far emergere i problemi legati alla nostra professione pubblicamente ci incita a non lamentarci, a guardare tutto con altre prospettive, a chinare la testa e accettare che essere precari a vita, essere mamme di serie B, essere malpagati, con tanti obblighi e poche tutele sia la normalità. Dobbiamo solo essere energici, sereni e lamentarci meno.

#IononsonoMarta

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