Le lancette dell’orologio ticchettano nervosismo e frustrazione in Irlanda del Nord. Mancano 132 giorni al 25esimo anniversario degli Accordi di Pace del Venerdì Santo (gli Accordi di Belfast) che hanno messo fine ad anni di violenze, attentati, e scontri tra i nazionalisti protestanti dello Sinn Fein e gli unionisti cattolici del DUP. Ma il Paese è tutt’altro che tranquillo. Ormai da troppo tempo Belfast non ha un esecutivo funzionante e il popolo, ora stretto nella morsa del costo della vita e del caro energia, lamenta più che mai la mancanza di un governo solido.

Brexit una minaccia per i nordirlandesi
Dentro il Parlamento fantasma di Stormont la tensione politica sta montando: il nuovo nemico si chiama Brexit, con il Protocollo sull’Irlanda del Nord che divide i destini commerciali di Londra, divorziata dall’Ue, e Belfast che pur essendo nel mercato interno britannico resta invece assoggettata alle norme doganali di Bruxelles. “Per colpa dei controlli e delle burocrazie imposte dal protocollo, i prezzi dei prodotti in Irlanda del Nord sono aumentati anche del 18% in più rispetto a quelli delle merci che si trovano nei supermercati della Gran Bretagna e siamo in una situazione in cui il governo britannico non può fornirci sostegni sull’Iva perché dobbiamo sottostare ai regimi europei”, dice il leader del DUP, Sir Jeffrey Donaldson, lamentando anche un deficit democratico. “Il Protocollo minaccia la nostra posizione all’interno del Regno Unito perché da noi in oltre 300 aree sono ancora in vigore leggi e regolamenti europei che hanno impatto sulle nostre vite, ma su cui non abbiamo poteri decisionali”.

Gli esempi a Sir Jeffrey non mancano, come la crisi sanitaria per gli animali che, prevede lui, comincerà da gennaio (termine del ‘periodo di grazia’ sulle procedure doganali) quando il 50% dei farmaci veterinari non potranno più entrare in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna. I nuovi regolamenti europei in tema di prodotti ematici e tessuti umani renderanno poi più difficili i trapianti di organi negli ospedali nordirlandesi rispetto a quelli inglesi, dice il leader DUP che contempla un’unica soluzione: “Un nuovo accordo con Bruxelles”, dice fermo e risoluto a Ilfattoquotidiano.it.

Il Protocollo sulla Brexit: un’arma politica dentro e fuori il Regno Unito
Sui banchi di Westminster pende il disegno di legge per modificare a Londra, in modo unilaterale, il famigerato Protocollo siglato con Bruxelles. Il ministro per l’Irlanda del Nord, Steve Baker, sta lavorando alla proposta di riaprire gli accordi commerciali negoziati con la Ue per rimuovere la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea e soddisfare così le pressanti richieste dei brexiteer conservatori radicali e degli Unionisti nordirlandesi che da mesi stanno tenendo sotto scacco politico il governo di Downing Street, tra dimissioni e crisi politiche.

L’ex partito di maggioranza Unionista Democratico (DUP) alle elezioni di maggio è stato battuto per la prima volta nella storia dallo Sinn Fein (ex braccio politico dell’Ira) ma ha boicottato il processo per la formazione del nuovo esecutivo devoluto che in virtù degli accordi di pace richiede necessariamente la condivisione dei poteri tra le forze di maggioranza. “Abbiamo fatto presente già prima dell’esito delle elezioni che non avremmo nominato i nostri ministri fino a che non si fosse affrontato il problema del protocollo. Allora avevamo ricevuto un mandato dal 12% degli elettori e ora i sondaggi ci vedono al 27% dei consensi quindi la nostra opposizione al protocollo si è rafforzata – dice Donaldson – Se vogliamo vedere ripristinato il principio del consenso trasversale, che è la base su cui le istituzioni politiche a Stormont possono operare, dobbiamo trovare una soluzione al Protocollo il prima possibile, ritorneremo nel governo condiviso non appena saranno state prese azioni decisive. Un nuovo accordo sul Protocollo è la chiave non solo per ripristinare l’esecutivo in Irlanda del Nord ma anche per relazioni migliori con l’Unione europea”.

Il termine di sei mesi per la formazione dell’esecutivo con le forze di maggioranza è scaduto, ma prima di indire nuove elezioni, come da regolamento, il governo britannico sta tentando la negoziazione con Bruxelles.

I margini di manovra
Il famigerato Protocollo Brexit sull’Irlanda del Nord traccia confini doganali per l’ingresso delle merci europee in Regno Unito nel mare d’Irlanda, una ‘linea morbida’ tra le coste dell’isola irlandese e quelle della Gran Bretagna. La soluzione a cui i negoziatori europei e britannici sono arrivati dopo anni di accapigliamenti e crisi politiche (come le dimissioni di Theresa May) è servita sì a evitare il ritorno a una pericolosa barriera fisica tra Belfast e Dublino (tra la Repubblica d’Irlanda che è nella Ue e l’Irlanda del Nord che invece è parte del Regno Unito), ma ha però separato Belfast e Londra sul piano commerciale. Gli unionisti chiedono ora una cornice normativa che rispetti l’integrità del mercato interno britannico, con misure pratiche che eliminino i controlli doganali sulle merci che dalla Gran Bretagna entrano in Irlanda del Nord pur garantendo che i prodotti che poi si dirigono verso Dublino, in territorio europeo, rispondano agli standard comunitari. Il primo ministro Rishi Sunak ha promesso al presidente americano Joe Biden che raggiungerà un accordo con l’Unione europea in tempo per aprile, prima dell’anniversario degli Accordi di Belfast. Anche per Sunak il tempo stringe perché Biden, di origini irlandesi, non tratterà gli importanti accordi commerciali che gli servono per rilanciare l’economia del Regno Unito finché non avrà la garanzia che sono rispettati gli accordi di pace del Venerdì Santo.

Brexit una minaccia per la pace?
Il ricordo dei Troubles è ancora vivo. Donaldson vorrebbe che i prossimi 25 anni degli accordi di Belfast fossero il passaggio dalla pace alla prosperità dell’isola e sostiene che per evitare il ritorno alla violenze occorra preservare un principio: il consenso trasversale. Lo stesso consenso che, dice lui, è stato adottato come fondamento del progetto di pace per la “Unione europea”. “Sfortunatamente il Protocollo sulla Brexit ha eroso il meccanismo del consenso che è fondamentale in Irlanda del Nord per far funzionare le istituzioni politiche”, dice il leader unionista rivelando che il Paese la settimana scorsa ha vissuto due attacchi da gruppi terroristici. “Più a lungo si protrarrà il problema del vacuum politico a Stormont più occasioni verranno date alla sparuta minoranza che non accetta il processo di pace”, continua Donaldson lanciando un messaggio alla Ue: “Alle negoziazioni tecniche deve affiancarsi un impegno politico per la pace sia da parte del Regno Unito che dall’Unione europea. Se l’Ue vuole davvero salvaguardare gli accordi del Venerdì Santo deve dimostrare flessibilità sul Protocollo Brexit, riconoscendo che le merci che oltrepassano il confine irlandese sono una limitata proporzione rispetto all’intero commercio della Ue, lasciando quindi che l’Irlanda del Nord resti nel confine doganale interno del Regno Unito.

All’orizzonte la (dis)unione
Sull’isola britannica all’ombra della Brexit si sta giocando anche una partita sul fronte dell’unione intera. La Scozia ha già dichiarato l’avanti tutta con il referendum per l’indipendenza, a Stormont lo Sinn Fein proclama la necessità dell’unità irlandese a scapito di Londra. Le micce indipendentiste sono infiammabili anche se, secondo Jeffrey Donalson a Belfast i sondaggi rivelano che il suo popolo è ancora propenso all’unione del regno, nonostante il protocollo stia indebolendo la posizione dell’Irlanda del Nord all’interno della Gran Bretagna.

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