L’Ungheria spacca in due il governo. La prima rottura interna ufficiale all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni si è consumata nella serata di giovedì, quando a Strasburgo il Parlamento europeo è stato chiamato a votare una risoluzione, poi approvata, per chiedere alla Commissione di mantenere la linea della fermezza col governo di Budapest ribadendo lo stretto legame tra Stato di diritto ed erogazione dei fondi europei. Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro il testo, che ha ricevuto comunque l’ok dell’Eurocamera con 416 voti favorevoli, 124 contrari e 33 astenuti, mentre Forza Italia, in linea col resto del Partito Popolare Europeo, l’ex casa politica della formazione di Viktor Orban, ha appoggiato la risoluzione.

Così, mentre l’Ungheria vede congelato il 75% dei fondi di coesione stanziati dall’Ue, all’interno del governo italiano tornano le divisioni tra coloro che si dichiarano liberali convinti, i forzisti, e gli altri due partiti che non riescono a separare la propria immagine da quella del premier ungherese, che più volte ha definito il suo Paese con l’ossimoro di “democrazia illiberale”. “Il nostro voto non c’entra con la vicinanza ai modelli illiberali”, ha puntualizzato la delegazione di Fdi a Strasburgo. Dove però il caso non è passato inosservato: “Meloni e Salvini sono fuori dall’asse europeista“, ha commentato la vicepresidente dell’Eurocamera, l’esponente del Pd e vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno.

Con il sì compatto dei Socialisti e di quasi tutti i membri di Renew Europe, oltre che del Ppe, la risoluzione è passata con larga maggioranza. Fermi sul ‘no’ invece i Conservatori e il gruppo Identità e Democrazia. Nei primi milita il Pis, il partito del premier polacco Mateusz Morawiecki che, nelle stesse ore, era al tavolo proprio con Orban al vertice dei Paesi Visegrad. Il secondo raggruppa i sovranisti europei, dai lepenisti ai tedeschi di Afd, fino alla Lega. Massimiliano Salini è stato l’unico di Forza Italia a votare in dissenso rispetto alla sua delegazione. Un altro voto in dissenso, quello della leghista Cinzia Bonfrisco, è stato successivamente fatto rettificare dai tecnici dell’Eurocamera: ha votato contro, come i suoi colleghi, e non a favore della risoluzione come risultava inizialmente.

Sul Pnrr, invece, da Bruxelles arriverà un sì condizionato: il piano ungherese dovrebbe ottenere la luce verde ma l’esborso sarà vincolato al raggiungimento di 27 obiettivi sulla falsariga di quanto accaduto con la Polonia. Il Parlamento su questo dossier da tempo chiede severità e non sono mancate le critiche alla linea di Ursula von der Leyen, giudicata troppo morbida. Nella risoluzione passata oggi a Strasburgo, non a caso, si invita Bruxelles a “resistere alle pressioni che l’Ungheria esercita bloccando decisioni cruciali dell’Ue”. Pressioni che Orban continua a mettere sul tavolo, dalla richiesta di un’esenzione all’applicazione del price cap al petrolio russo caro agli Usa, fino al rinvio, all’inizio dell’anno prossimo, della decisione sull’ammissione di Svezia e Finlandia nella Nato. L’ultima parola sul congelamento dei fondi di coesione e sul sì al Pnrr spetterà all’Ecofin di inizio dicembre. Conterà la maggioranza qualificata. Almeno quattro Paesi membri che rappresentano oltre il 35% della popolazione europea hanno il potere di veto. “La premier scelga tra Orban e l’Ue”, è stato l’attacco del Movimento 5 Stelle.

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