Negli ultimi 46 anni il numero medio di spermatozoi si è drasticamente ridotto di oltre il 50 per cento in tutto il mondo. E dal 2000 questa tendenza ha iniziato a subire un’accelerazione. Queste sono le conclusioni allarmanti di uno studio, appena pubblicato sulla rivista Human Reproduction Update e condotto dagli scienziati della l’Università Ebraica di Gerusalemme e della Icahn School of Medicine di New York. Il team internazionale, guidato dagli scienziati Hagai Levine e Shanna Swan, e composto da ricercatori in Danimarca, Brasile, Spagna, Israele e Stati Uniti, ha valutato i dati raccolti in 53 paesi tra il 2011 e il 2018. Gli esperti hanno esaminato le tendenze relative al numero di spermatozoi nelle regioni del Sud e Centro America, Asia e Africa. Lo stesso gruppo di ricerca aveva già dimostrato un calo nei livelli di spermatozoi in Nord America, Europa e Australia, e il nuovo lavoro evidenzia che l’andamento in diminuzione sia addirittura in accelerato nel XXI secolo.

“I dati sono eloquenti: abbiamo bisogno urgente di mitigare questa grave minaccia alla fertilità maschile. Non possiamo più rimandare”, dice Luigi Montano, Uroandrologo coordinatore del progetto di ricerca EcoFoodFertility, nonché presidente Area Andrologica in carica della Società Italiana di Riproduzione Umana (SIRU). “È ormai noto da tempo che la fertilità maschile è in calo nei paesi occidentali”, sottolinea Montano. “Si accumulano dunque le evidenze scientifiche che mostrano un peggioramento della qualità del liquido seminale, segno che inquinamento ambientale e cattivi stili di vita sembrano influire assai negativamente sulla salute e sulla capacità riproduttiva maschile”, aggiunge.

“I dati mostrano, per la prima volta, un significativo calo del numero totale di spermatozoi e della loro concentrazione, in particolare in Sud America, Asia e Africa, aree che in particolare negli ultimi due decenni hanno registrato tassi di sfruttamento ed inquinamento ambientale importanti – spiega Montano –. Gli autori fanno peraltro riferimento ad alterazioni nello sviluppo del tratto riproduttivo durante la vita fetale in relazione alla compromissione della fertilità e ad altri indicatori di disfunzione riproduttiva, per cattivi stili di vita, sostanze chimiche disperse nell’ambiente”. I danni alla fertilità maschile, inoltre, potrebbero essere addirittura più gravi e profondi rispetto a quelli segnalati dall’analisi della quantità e della concentrazione degli spermatozoi. “In Italia, peraltro, già con lo studio FASt (Fertilità, Ambiente, Stili di Vita) finanziato dal Ministero della Salute in tre aree ad alto tasso di inquinamento ambientale, Brescia, Frosinone, Acerra e pubblicato sulla rivista internazionale European Urology Focus, riscontrammo alti risichi riproduttivi su giovani sani non fumatori, su cui fu anche fatta un’interrogazione parlamentare nell’ottobre del 2021, un problema che in un paese come l’Italia a bassissima natalità non può essere assolutamente trascurato”, aggiunge Montano.

Ma mentre la scienza continua ad affinare le sue tecniche di analisi, gli specialisti invitano gli uomini ad agire in prima persona per preservare la loro capacità riproduttiva, fin da giovanissimi, dal momento che questa problematica, ancora misconosciuta, è centrale per la sopravvivenza della specie, come sottolineano anche gli autori del lavoro. “Per questo riteniamo fondamentale promuovere la cultura della prevenzione ed in particolare di quella della fertilità particolarmente a rischio nel prossimo futuro, per questo è necessario coinvolgere come già stiamo facendo come SIRU, i Medici di Medicina Generale, i pediatri e biologi per una progetto di ampio respiro sulla prevenzione in particolare andrologica che in occasione del mese di novembre dedicato alla prevenzione andrologica e per l’ANDRODAY possa incominciare a muovere i primi passi e contribuire a poter uscire da questo periodo nero per la fertilità maschile e quindi anche per la natalità”, conclude Montano

Valentina Di Paola

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