Persino Matteo Renzi si scandalizza per gli aiuti di Stato al pallone. Sul tavolo del governo Meloni l’emendamento “salva-Serie A” è già pronto: il 16 dicembre scade la sospensione di Irpef e contributi che le società professionistiche non pagano da inizio anno con la scusa del Covid. Un’enorme cartella esattoriale che oscilla tra 500 milioni e un miliardo che le squadre dovrebbero saldare tutta insieme fra poche settimane, ma non sono in grado di onorare. Il neoministro dello Sport, Andrea Abodi, sembra intenzionato a venire incontro alle esigenze dei patron, con una rateizzazione pluriennale, ma il provvedimento non è entrato nell’ultimo Decreto Aiuti licenziato dal Consiglio dei ministri. E adesso sembra pronta a scatenarsi anche la bagarre politica.
“Pare che il Governo voglia aiutare le società professionistiche di calcio con un emendamento ad hoc per rinviare alcune scadenze fiscali. Io sono un grande amante del calcio ma dico una cosa semplice: siamo impazziti? Diamo un aiuto fiscale solo alle società di calcio magari per consentire di fare il mercato di gennaio con più liquidità? Non scherziamo! Se dobbiamo fare una misura fiscale per le aziende, deve valere per tutti”, ha scritto il leader di Italia Viva nella sua e-news. Lo stesso Renzi in passato non ha mancato di correre in soccorso del pallone (ad esempio col famoso emendamento sblocca-Stadi contro le Soprintendenze), ma al netto del gioco delle parti il suo intervento sottolinea quanto faccia discutere l’ennesimo regalo al calcio.
È praticamente da un anno che i “ricchi scemi” (ma mica tanto) del pallone non pagano le tasse, a differenza dei comuni mortali. Il primo aiuto risale a fine 2021, proprio quando la Figc sembrava intenzionata a mettere fine allo stop dei controlli interni durante il Covid che di fatto aveva falsato il campionato. Invece nell’ultima manovra era arrivato il colpo di spugna governativo: un comma che sanciva la sospensione di Irpef e contributi per i primi quattro mesi del 2022, poi estesa in primavera fino alla fine dell’anno. Undici mesi senza obblighi fiscali, con la scusa del Coronavirus. Una marchetta a otto se non addirittura nove zeri, se consideriamo che nel 2019 la Serie A ha pagato quasi un miliardo tra ritenute Irpef (700 milioni), Iva (170 milioni) e contributi previdenziali (120 milioni). La cifra precisa ad oggi non è nota: all’ultima rivelazione al 30 giugno in Figc circolava un totale di circa 450-500 milioni per tutti i club professionistici, di cui ovviamente la stragrande maggioranza riferibile alla Serie A. Negli ultimi mesi la somma potrebbe essere aumentata: secondo le ultime indiscrezioni il debito è a quota 800 milioni.
Con l’avvicinarsi della scadenza di dicembre, sono iniziate le solite pressioni per ottenere una proroga, prima sul governo Draghi, poi su quello Meloni. E il pressing sembra aver avuto successo: accordo raggiunto sulla base di un acconto iniziale del 15% (c’è chi vorrebbe eliminare pure questo) e il resto spalmato in comode rate sui prossimi 3-5 anni. Il ministro Abodi vorrebbe almeno porre una condizione: chi non paga i debiti, non spende per i calciatori. Una specie di blocco sul mercato: difficile da imporre per legge, bisognerebbe semmai giocare di sponda con la FederCalcio di Gabriele Gravina (con cui c’è un’ottima sintonia), che può vincolare la deroga a un saldo attivo nella prossima sessione. Comunque un falso sacrificio per i presidenti: ormai quasi nessuno fa più mercato a gennaio, le big non avevano già intenzione di fare movimenti, l’importante è evitare la cartella esattoriale.
La brutta notizia per la Serie A, però, è che il provvedimento non è riuscito a entrare nel Decreto Aiuti, nonostante il tentativo di infilarlo all’ultimo. Questione di tempi, ma anche di soldi e opportunità: ballano centinaia di milioni e bisogna trovare le coperture, senza considerare l’opinione pubblica (pare che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti e la stessa Meloni non siano affatto entusiasti). Non una bocciatura definitiva, nell’ambiente sono convinti che la misura è solo rimandata (a fine mese). Ma qualche presidente comincia ad agitarsi: se diventa un caso nazionale e si scatena pure Renzi, la Serie A non può dormire sonni tranquilli. Anche perché se salta l’aiutino, salta il campionato.