L’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk è simbolica. Racconta come denaro e potere abbiano offuscato la mente di uno degli imprenditori più geniali di questa generazione. Che l’uomo più ricco del mondo abbia messo sul tavolo 44 miliardi del suo immenso patrimonio, ricorrendo anche al debito, per comprare una piattaforma social è la conferma del livello di megalomania e di eccitata follia che ormai contraddistingue Musk.

L’ambizione politica del fondatore di Tesla è ovvia. Sfacciatamente trumpiano aspirerebbe alla Casa Bianca, se ciò non gli fosse precluso dall’essere nato a Pretoria, in Sudafrica. Acquisire Twitter è stata una mossa squisitamente politica e di destra. Equivale ad annunciare agli Stati Uniti e al mondo “darò spazio a tutti quelli che dissentono dal mainstream liberal e di sinistra che da troppo tempo opprime i social e i tutti media”.

Peccato che Elon dovrà fare i conti con due ostacoli forse insormontabili. Il primo si può ridurre alla constatazione – evidente dopo il risultato delle elezioni Usa di Midterm – per cui Donald Trump, i suoi candidati e lo stesso fenomeno del “trumpismo”, sono stati per lo più arginati, respinti o sconfitti, almeno rispetto alle aspettative.

Non per merito di Joe Biden, mettiamolo in chiaro, ma per esaurimento della propulsione populista di destra. Al punto che il candidato repubblicano, per la Casa Bianca alle elezioni del 2024, sarà quasi certamente non l’ex impresario di casinò, ma Ron De Santis, governatore della Florida, conservatore anti Trump agguerrito, giovane, laureato ad Harvard e finalmente “presentabile” anche per i moderati. Insomma il futuro per quel partito.

Il secondo elemento che conferma il plateale errore di Musk nell’acquistare a una cifra assurda Twitter è di business. Non dico che con tutti quei soldi avrebbe potuto costruire decine di ospedali, scuole, strade oppure finanziare la ricerca medica e scientifica – come ovvio tutti obiettivi nobili e giusti – infatti sarei tacciato di buonismo e generico utopismo; dico solo che, dal punto di vista di un investitore in termini di utili e fatturato non esiste azienda più volatile, meno solida e meno affidabile di un social media.

Peggio, se le cose prendessero una brutta piega, Twitter potrebbe perdere nel giro di poche settimane se non di giorni, milioni di utenti e di account e quindi azzerarsi come modello industriale (tanto per capirci: Facebook/Meta quest’anno è crollata in borsa -75%. E lo stesso Musk parla apertamente della possibilità di bancarotta). Ciò conferma la recente pazzia dell’ultra-miliardario.

Il fondatore di Tesla ha già messo le mani avanti dichiarando che il “massiccio calo delle entrate” registrato da Twitter dopo il suo ingresso va attribuito a “gruppi di attivisti che fanno pressione sugli inserzionisti”.

Ed è proprio questo il secondo tema della questione. In effetti, un gruppo di leader americani dei diritti civili ha inviato una lettera ai Ceo di grandi aziende, tra cui Anheuser-Busch, Apple, Coca-Cola e Disney esortandoli a trasmettere a Musk le loro preoccupazioni su affidabilità, reputazione e percezione dei loro marchi esposti su una piattaforma in balia di un padre-padrone visionario sì, ma troppo schierato, come dimostra la netta e immediata impennata di post razzisti e di hate speech.

Sospendete la spesa pubblicitaria su Twitter è stata l’esortazione, cosa che General Motors e Volkswagen hanno subito messo in pratica. Insomma: Twitter perde inserzionisti. È un colabrodo, perde soldi e con Musk alla guida ne perderà ancora di più. Uno degli scenari di probabile realizzazione è che la gente migri, anche alla svelta, su altre piattaforme.

Musk è stato un magnifico imprenditore, ce ne fossero come lui in futuro a creare altre Tesla e altre SpaceX, ma la verità è che le manie di grandezza e la voglia di far politica lo hanno rovinato. Parte del problema, ovviamente, è la sua controversa personalità, i crescenti segni di instabilità, il compiere scelte azzardate (come raccontano in California) “under the influence” – non di influencer ma di sostanze stupefacenti.

Lo si è visto parecchie volte. I suoi tweet sulle crypto, oggi alle prese con un crash devastante, o quelli con sue proposte di pace per la guerra in Ucraina. Il nuovo proprietario di Twitter, la persona più ricca del mondo, mille volte più di Creso, si è anche abbassato a twittare teorie cospirazioniste all’origine dell’aggressione a Paul Pelosi, marito della speaker democratica della Camera. Come un adolescente schizzato, ai suoi oltre 115 milioni di followers ha messo in rete una serie di battute anti dem tra il cinico e il goliardico, alcune poi rapidamente cancellate (poveretto il suo social manager, ammesso che esista).

Per concludere, Elon vorrebbe porsi come gran moderatore dei contenuti sul social più politico della Terra in nome del free speech. Il rischio però è che non sarà più necessario, perché se continua così tutti saranno tentati di andarsene (senza parlare della spunta a pagamento o della cancellazione di migliaia di account dai nomi sgraditi).

Guarda caso Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ritiratosi da qualche anno da Silicon Valley e dalla scena mediatica con un grosso conto in banca, ha lanciato giorni fa il suo nuovo social, Bluesky, e in poche ore ha convinto oltre 50.000 followers. Entro l’anno prossimo, facile previsione, la sua platea avrà qualche zero in più e tutti saranno animati dalla cocente delusione propinata al mondo del web da Elon Musk.

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