di Carblogger

Tesla può fare a meno della massima attenzione di Elon Musk nel caso si distraesse troppo con Twitter, l’ultimo giocattolo che l’imprenditore si è comprato per 44 miliardi di dollari. Non si parla d’altro in questi giorni: Musk che licenzia (anche “per sbaglio”) la metà dei dipendenti del social di San Francisco, che applica nuove regole per rendere redditizi 140 caratteri (saranno presto molti di più), che strizza l’occhio a Donald Trump e a tutti coloro che gli potrebbero tornare utili un giorno o l’altro come Xi Jinping (in una intervista suggeriva tempo fa di concedere a Pechino un controllo parziale di Taiwan).

Twittaholic, Musk non dice una parola su Tesla. Per questo motivo diversi analisti temono per le sorti del marchio di auto elettriche. Eppure, se c’è una cosa che Musk ci ha insegnato con certezza è la sua assoluta concentrazione su come fare soldi. Manager che non delega e che non ammette punti di vista diversi dal suo (altro che “free speech”, ti caccia e basta), gestisce in prima persona quattro società. Tesla vale oggi circa 700 miliardi, Space X 125, Boring 6 e Neuralink 1. Sono 832 miliardi di dollari cent più cent meno, impero con un uomo solo al comando in cui Tesla ha una capitalizzazione di circa 4 volte superiore a quella del primo rivale dell’auto e Space X una che la pone fra le prime 5 società aerospaziali mondiali.

Musk può distrarsi da Tesla, dove governa da Napoleone, mentre il turnover dei direttori non si ferma mai, eccezione fatta per il capo del design Franz von Holzhausen di fianco al boss dal 2008. Piuttosto, vista l’aria che tira in California e nell’industria tech americana più in generale, mi preoccuperei per la sorte dei suoi dipendenti, poco più di 100mila contro i 155mila di Gm, che però nel 2021 ha venduto più di sei volte del costruttore californiano.

Un problema per Tesla potrebbe venire dalla gestione di Twitter da parte di Musk. A ottobre, un suo tweet su un accordo di pace in Ucraina basato sulla concessione definitiva della Crimea alla Russia, ha scatenato un putiferio. Una deriva trumpiana, un laissez faire su teorie complottarde e no vax o un uso geopolitico per interessi propri della comunicazione come nel caso della Cina (dove Tesla ha una fabbrica a Shanghai e un futuro assicurato salvo rotture con il Partito) potrebbe danneggiare la reputazione di Tesla. Qualche piatto è stato già rotto: diversi investitori, tra i quali Gm, Volkswagen e Stellantis, hanno sospeso la pubblicità su Twitter.

Tesla è un marchio di veicoli a zero emissioni magico come un tavolino che balla: fa profitti dopo essere stato più volte sull’orlo della bancarotta è inseguito dai rivali Porsche in testa. È adorato nel mondo con fan come solo capita ad Apple e ha una vocazione ambientale natia per la quale nessuno potrà mai accusare di greenwashing. Sembra quasi una stella polare in tempi di Cop27 dimezzata di inondazioni sotto casa e di copertina dell’Economist di questa settimana (“Say goodbye to 1,5° C/Why climate policy is off target”).

Musk è un marchio a sé. È così che ha fatto crescere Tesla senza spendere miliardi in pubblicità tradizionale. Ma oggi è un marchio a rischio se via Twitter alimenterà comunicazione politicamente scorretta. Tesla deve fare solo Tesla e chissà che domani sia un modo per sopravvivere a Musk.

@carblogger_it

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