Non sparate sul soldato Pillon, può costare seimila euro. L’istrionico provocatore che accusava i gay di essere pericolosi “cospiratori” non è stato rieletto ed è tornato a fare l’avvocato, ma di se stesso. Avendo tutto il tempo a disposizione si è messo a rileggere uno per uno i commenti social che hanno attentato alla sua “illibata reputazione”. Così si legge nelle decine e decine di raccomandate-fotocopia che ha fatto spedire da ben sette avvocati con richieste di danni da 10-20mila euro, che scendono però a modiche seimila euro se il pagamento avviene “entro otto giorni”. In caso contrario, l’ex senatore procederà con denunce in sede civile e penale. Prendere (una denuncia) o pagare. A farne le spese sono persone di tutti i tipi, giovani e anziani non importa. A nulla valgono le scuse ricevute. Neppure l’offerta di devolvere la cifra a un ente benefico. Importa solo l’incasso.

Le lettere stanno arrivando in questi giorni a decine e decine di cittadini in tutta Italia. La pesca a strascico non era poi difficile, è bastato andare sul post del 27 marzo 2021, giorno nel quale il Senato affossa il Ddl Zan e Simone Pillon non fa mancare il sarcastico commento “Ciao ciao Zan”, sapendo bene di spargere sale su una ferita dolorosa per la comunità Lgbt e per i sostenitori della legge. Seguono 5.400 commenti tra insulti e critiche. Turpiloqui e insulti veri e propri, epiteti coloriti tipo “pidocchio”. Il leghista deve essersi stufato, decidendo di querelare tutti, dai commentatori più goliardici a quelli più offensivi.

La raccomandata arriva uguale per tutti. La ricevono i genitori di una ragazza, ora maggiorenne che aveva scritto “sei marcio dentro, vergognati”. con tanto di tabelle per il calcolo del danno della persona offesa, maggiorato per “l’elevata riconoscibilità del diffamato (Senatore)” la cui reputazione è “illibata”. “Mia figlia avrà sbagliato, ma ritengo eccessiva una richiesta simile, per altro identica per molte famiglie, un copia-incolla”. Lo stesso, racconta, è capitato a una signora anziana che apre la raccomandata, legge la richiesta dell’ex senatore e quasi sviene.

“C’è scritto che se pago 6mila euro sull’unghia la chiudiamo qui, altrimenti mi manda a processo”. “In pratica, un’estorsione”, lamenta un’altra che ha anche proposto di risarcire Pillon con una donazione a un ente che vorrà, “fosse anche il Centro per la Vita”. “Proporlo mi è costato un pezzo di fegato ma gli avvocati hanno risposto picche, Pillon vuole solo i soldi”. Nelle raccomandate i legali di Pillon sostengono che il loro cliente si sia accorto solo il 1 settembre scorso, perché a rigor di legge la persona diffamata ha tre mesi di tempo per sporgere querela da che ha avuto conoscenza del presunto reato.

Invero Pillon rispose per tempo al profluvio di insulti. Il 27 aprile, ad esempio, ne elencò alcuni sulla sua pagina Fb ripromettendosi di darne lettura addirittura in Senato. Dunque non è vero che se ne accorse solo un anno dopo, oppure è vero che si era perfino dimenticato per un anno di quegli insulti che solo ora ritiene così insopportabili. Ma l’avvocato Pillon dimentica anche che esiste un confine tra minaccia di azioni giudiziarie e profitto illecito. E’ il reato di “Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone” (art. 393 cp) e punisce con la reclusione fino a un anno “chiunque si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia”. In alternativa, il 392 che punisce con una multa da 516 euro “chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo”.

Contattato, l’avvocato Pillon sostiene invece che la sua crociata sia sacrosanta. “Non capisco lo stupore, ti auguro che i tuoi figli non debbano mai leggere sui social quello che scrivono di me nelle shitstorm”. A nulla vale fargli notare quanto abbia gettato benzina sul fuoco. “Dunque è colpa mia, alla fine, se mi aggrediscono per strada, sono io che li ho provocati”.In realtà vere aggressioni non risultano, mentre restano consacrati sul sacro social i richiami di Pillon alla libertà di espressione. In un suo post su Facebook dell’8 gennaio 2021, vale a dire tre mesi prima di quelli incriminati, aveva sancito come su una tavola biblica le seguenti parole: “Le libertà di espressione sono il pre-requisito di qualsiasi relazione umana, a maggior ragione di una società liberale e democratica. Sono la piazza di cento anni fa, e in piazza ciascuno deve poter dire la sua”.

Ma allora si trattava di difendere Trump dalla censura di Zuckerberg, e allora si chiedeva anche se “un ragazzo può chiudere la bocca del presidente degli Stati Uniti, cosa potrà fare con me che faccio il senatore in Italia? E con te?”. Lui, però, ha deciso di chiudere la bocca a ragazzi e utenti che senatori non sono, e di scucirgli 6mila euro a testa. Non demorde, non porge l’altra guancia. Ed è lo stesso che nel 2020 derise via social un attivista Lgbt salito sul palco di un evento con la gonna additandolo alla piazza social come un “buffone”.

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